Economia
L'Italia non è quella del Governo. Edilizia, tessile e alimentare ko
Semplificando si può dunque dire che “ciò che fa bene a Fiat Auto Chrysler fa bene all’Italia”. Per gli altri, dopo sette anni di recessione, l’uscita dal tunnel sta avvenendo con un motore ancora al minimo: il settore legno/carta/stampa a fine settembre segnava +3,8% su base annua, ma ha continuato a subire gli effetti della sempre maggiore digitalizzazione di documenti e mezzi d’informazione che un tempo vivevano su carta, la chimica ha mostrato un rimbalzo minimo (+1,1%), così come la fornitura di energia (+1,3% e la farmaceutica (+2,1%), poco meglio ha fatto il settore gomma/plastica (+3,7%), dalla fabbricazione di macchinari e attrezzature (+0,3%) sono giunti segnali di una possibile nuova frenata (-2,6% su base mensile) anche a causa di un rallentamento degli ordini dall’estero.
Ci sono poi settori come quello bancario per i quali si preannunciano ulteriori ristrutturazioni e perdite di posti di lavoro (come conferma anche l’ultimo piano strategico di Unicredit) e chi continua a restare in recessione, come le attività estrattive (-4,5%), il comparto tessili/abbigliamento/pelli e accessori (-4,0%), le riparazione e installazione di macchine ed apparecchiature (-2,5%), e persino un settore storicamente “anticiclico” come gli alimentari/bevande/tabacco che però pare nuovamente in frenata (-1,7% annuo, - 1,4% mensile).
In questo contesto gli investitori esteri hanno finora acquistato singoli marchi come Bulgari, Pomellato, Gancia, Pernigotti, Ducati, Pirelli, Loro Piana, Autogrill/World Duty Free, Alitalia o Ansaldo. Perché scommettano sull’Italia e insedino nuove attività nel nostro Paese il governo anziché dormire sugli scarsi allori dovrà mettere mano a riforme strutturali e investimenti infrastrutturali che chiudano il gap di cui soffre l’Italia in termini di produttività rispetto ai suoi concorrenti europei e mondiali e rendano in generale l'Italia più “business friendly”. Ci riuscirà?
Luca Spoldi