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Economia
Le Big Tech licenziano 1.000 persone al giorno per puntare sull'IA

Big Tech, a casa oltre 41 mila dipendenti da gennaio 2024. L'IA fa strage di lavoratori nel mondo. Ma Sapelli: "La vera colpa è dei contratti..."

Che cosa accadrà al mondo del lavoro? Già da qualche anno, ben prima che diventasse di “moda”, in molti si erano chiesti se l’intelligenza artificiale potesse rappresentare un pericolo per l’uomo. E tralasciando l’ancora fantascientifico scenario dove i robot conquistano la Terra e schiavizzano gli umani, una pericolosità, decisamente molto concreta, si è manifestata. E riguarda il mondo del lavoro.

Dal 1° gennaio 2024 a oggi, nel mondo oltre 41 mila persone sono state licenziate dalle aziende tech per ridurre i costi e puntare sull’intelligenza artificiale. Quella generativa – come ChatGpt (OpenAi) e Gemini (Google) – nello specifico.

Provando a fare due conti, si tratta di circa 1.000 licenziamenti al giorno. Più nel dettaglio, riportando gli ultimi dati delle aziende più note: Cisco il 14 febbraio ha dichiarato 4.250 licenziamenti, il 5% della sua forza lavoro; PayPal 2.500; Microsoft 1.900; Sap 8.000; eBay e Google 1000; Amazon 440; Snapchat 500; Zoom 150.

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Un trend di tagli al personale di poco inferiore al ritmo sostenuto nel 2023, quando i licenziamenti delle Big Tech hanno toccato il picco di oltre 263 mila unità. Ma che cos'ha fatto scattare di preciso questo bisogno impellente di alleggerire il personale? La risposta è piuttosto semplice, seppur brutale.

Le aziende tecnologiche avrebbero banalmente capito, come disse Zuckerberg in una riunione del Cda del 2022, di avere “un mucchio di legname morto” (ovvero un numero troppo alto di dipendenti) e che “con un’organizzazione più leggera avrebbero potuto fare molto di più” (in termini di denaro, ovviamente). Le aziende starebbero quindi rivalutando le proprie aree prioritarie di investimento, mettendo al centro questa tecnologia che, senza la formazione di un lavoratore medio, può eseguire più o meno allo stesso modo varie e complesse operazioni.

Ma se le Big Tech hanno così tante persone da mandare via, da dove arrivano tutti questi dipendenti? Come spiega La Stampa, con l’arrivo della pandemia da Covid e il conseguente smart sworking le aziende tecnologiche hanno fatto incetta di nuovi lavoratori seguendo la promessa che i confinamenti avrebbero portato ad un trionfo del digitale sugli spazi fisici. Speranza, questa, che dopo la pandemia è stata assai ridimensionata.

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E oggi, per addolcire l’idea di dover licenziare migliaia di persone alla volta, una nuova parola si è insidiata nei vocaboli dei grandi Ceo. E si tratta di “efficienza”. Il primo a parlarne fu il più grande rappresentante delle Big Tech, Mark Zuckerberg, padrone della galassia social costellata da Facebook, Instagram e Whatsapp sui quali si erge la holding Meta (per rifarsi al metaverso, il vecchio “capriccio” tecnologico di Zuckerberg prima che si rivelasse un fallimento).

“Zuck”, infatti, in una lettera agli azionisti del gennaio 2023 aveva parlato di quello appena iniziato come “l’anno dell’efficienza”, dando avvio per primo a un poderoso piano di licenziamenti che mandò a casa 11 mila persone, il 13% della propria forza lavoro.

Ma non solo i “grandi capi” dei social. Anche la musica in streaming ha il suo ruolo. Daniel Ek, amministratore delegato di Spotify (la più grande piattaforma di streaming musicale al mondo con più di mezzo miliardo di utenti attivi), ha chiaramente spiegato che l’azienda deve diventare, appunto, “più efficiente”, puntando su settori nuovi, ovvero l’intelligenza artificiale. Non poteva mancare, poi, la Big Tech per eccellenza, Google, la quale negli ultimi tempi ha aperto centinaia di posizioni sull’IA strizzando l’occhio a questa nuova tecnologia.

Ma nonostante questa valanga di pessime notizie - seguita da un trend che rende molto difficile un ben sperare per il futuro delle nuove generazioni che dovranno vedersela con l’intelligenza artificiale che verrà (e che, molto probabilmente, sarà nettamente più efficiente di quella che abbiamo oggi) - c’è anche chi, se si parla di licenziamenti, non punta il dito contro la tecnologia.

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Interpellato da Affaritaliani.it, l’economista e storico Giulio Sapelli ha una spiegazione che guarda un tema più ampio e ben più indietro nel tempo. “In questi 30 anni, grazie ai liberisti di tutto il mondo (soprattutto inglesi), il reddito si è spostato dal lavoro al capitale in un modo spropositato”, spiega. “Ma ciò che più è andato in frantumi sono le organizzazioni sindacali dei lavoratori”, tuona Sapelli.

“Basti guardare il recente passo indietro dell’Ue sull’accordo con i rider. Evento che, tra l’altro, non ha generato grande scalpore...”, ricorda l’economista. “Naturalmente”, conclude infine Sapelli, “queste innovazioni devono essere accompagnate, l’economia deve essere regolata socialmente. Le regole fondamentali non sono le leggi, ma la forza contrattuale dei lavoratori”.






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