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Economia
Mps, secondo round per la privatizzazione. Ma la strada è in salita
Banca MPS

Mps, parte il secondo round

Per quanto riguarda la privatizzazione di Mps, non ci sono dubbi: va fatta e anche in fretta. Tuttavia, al Tesoro ci sono perplessità su come procedere. Ciò è dovuto al fatto che il clima per l'intero settore bancario potrebbe cambiare improvvisamente con la fine delle politiche monetarie restrittive della BCE: se l'incremento dei tassi ha sostenuto i profitti e i margini, la loro diminuzione avrà un effetto opposto, influenzando immediatamente le quotazioni in Borsa. Al Ministero dell'Economia, il ministro Giancarlo Giorgetti vuole che Mps diventi il fulcro per costruire il terzo polo bancario italiano, alternativo a Intesa e Unicredit; tuttavia, c'è anche chi vuole incassare tutto in una volta, per ridurre il debito di Rocca Salimbeni sulle casse dello Stato. Certamente, agire con fretta potrebbe non essere una buona idea, ma il tempo a disposizione sta rapidamente esaurendosi.

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Da inizio anno, Mps ha registrato un aumento del valore del 30%, tanto che oggi il 39% ancora detenuto dal Tesoro vale 2,1 miliardi di euro. Accelerare i tempi significherebbe rinunciare al dividendo di 122 milioni di euro. La possibilità di portare a termine l'aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro, ottenuto da Luigi Lo con grande fatica a ottobre 2022, sembra molto lontana. Lo scrive La Stampa. Alcuni, ripensando alla vendita del 25% lo scorso novembre, citano il detto di Enrico Cuccia: "Vendi, guadagna e pentiti". Quell'operazione ha portato al Tesoro 920 milioni di euro, che oggi sarebbero stati 437 milioni di euro in più. Tra il salvataggio del 2017 e l'ultimo aumento di capitale, lo Stato ha investito in Mps 7 miliardi di euro. Anche se ha ricevuto 1,28 miliardi di interessi dai Monti bond prestati a Siena tra il 2011 e il 2015, il saldo resta negativo di 4,8 miliardi di euro. La possibilità di ridurre questo passivo al governo sarebbe molto gradita, specialmente in vista delle prossime elezioni europee di giugno. Tuttavia, l'opzione di una fusione è un'impresa difficile.

Sebbene il governo preferisca un'unione con Banco Bpm, il CEO Giuseppe Castagna ha smentito qualsiasi interesse per Siena e ha espresso la volontà di continuare indipendentemente. Inoltre, con un utile di 1,3 miliardi di euro e dividendi in crescita del 143%, è difficile esercitare pressione su Piazza Meda per far cambiare idea. Si sta anche considerando Bper, ma ci sono diversi ostacoli. Ad esempio, Modena non ha ancora digerito completamente l'acquisizione di Genova (Carige), e c'è anche l'idea sgradita al governo di vedere Unipol prendere il controllo di Mps. Questo sarebbe un duro colpo per il centrodestra, dopo aver liberato Mps dall'influenza del centrosinistra. L'opzione Unicredit era stata considerata dal governo Draghi, ma è stata respinta dalla banca guidata da Andrea Orcel.

Tuttavia, ora che Siena è stata risanata e ha registrato due miliardi di euro di profitti e il ritorno dei dividendi, l'interesse potrebbe essere diverso. L'AD Gae Aulenti ha confermato che la banca ha tra 6 e 9 miliardi di euro da investire in acquisizioni: questi fondi devono garantire rendimenti significativi, altrimenti verranno distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi e nuovi buyback. Questa opzione potrebbe essere "deludente" per l'amministratore delegato, ma non sembra che ci sia un avvicinamento tra Milano e Siena. Orcel ha dichiarato a dicembre che è probabile che nei prossimi anni saranno effettuate alcune acquisizioni, soprattutto in Europa centrale e orientale, poiché i prezzi in Italia e in Germania sono troppo alti. Mentre il titolo a Piazza Affari ieri ha guadagnato un altro 1,22%, i tempi per un'acquisizione si stanno allungando sempre di più. In questo contesto, c'è un'ampia coalizione al governo che vorrebbe monetizzare rapidamente: ciò avvicinerebbe l'obiettivo di 20 miliardi di euro di privatizzazioni in tre anni e rassicurerebbe l'Europa sulle buone intenzioni del governo.






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