Pensioni, caos sullo “scalino” dei tre mesi: il governo diviso tra promesse elettorali e conti pubblici - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 15:00

Pensioni, caos sullo “scalino” dei tre mesi: il governo diviso tra promesse elettorali e conti pubblici

Con l’inizio del dibattito sulla prossima Legge di Bilancio, riecco emergere il capitolo “pensioni”...

di Antonio Mastrapasqua

Pensioni, caos sullo “scalino” dei tre mesi

Iniziamo col dire due cose: innanzitutto, l’età media del pensionamento in Italia (dati Inps) è di poco superiore a 64 anni. Per le pensioni anticipate addirittura si supera di poco i 61 anni. Secondo: dei 16 milioni di pensionati, poco meno della metà (7 milioni, più o meno) gode di una prestazione in tutto o in parte assistenziale, insomma non pagata dai contributi versati, quindi a carico della fiscalità generale.

Con l’inizio del dibattito sulla prossima Legge di Bilancio, riecco emergere il capitolo “pensioni”, con la volontà di far uscire dal lavoro il maggior numero di persone, con la convinzione – non suffragata dai fatti del passato – che si otterrebbe un compenso elettorale. Per cercare di favorire qualcuno (non molti, in realtà) si rischia di finire per far complicare la vita a tutti. E si continua a voler far lavorare di meno gli italiani: tutte le statistiche concordano nel dire che in Italia si lavora già di meno, sia in termini di orario medio settimanale, sia in termini di anni.

Da mesi, da quando l’Istat ha certificato l’aumento dell’aspettativa di vita, è iniziato il fuoco di sbarramento contro l’automatico innalzamento dell’età pensionabile. Dal 2027 si prospetta un aumento di tre mesi di lavoro, per chi sarebbe pronto al pensionamento per vecchiaia: 67 anni compiuti non basteranno più, proprio per la certificazione Istat che ci dice che l’età media si è alzata ancora; quindi, occorre – secondo la legge vigente – spingere un po’ più in là la data dell’uscita dal lavoro. Per il ritiro dal lavoro dal 2027 sarebbero necessari 67 anni e tre mesi di età o – per le pensioni di anzianità - almeno 43 anni e un mese di contributi se uomo e 42 anni e 1 mese se donna.

Apriti cielo. Non sia mai! Subito sono piovute le promesse: bloccheremo i tre mesi, non si tocca l’età della pensione; o addirittura si è ripresa la più complicata ingegneria previdenziale per aggiungere – dopo il fallimento delle quote, soprattutto quota 103 è stata sostanzialmente snobbata dagli italiani – nuove modalità di uscita anticipata, ricorrendo al Tfr e ogni altra diavoleria. L’effetto immediato è di rendere sempre meno comprensibile il percorso alla pensione: l’Inps, in un lodevole specchietto riassuntivo, ha catalogato 21 diversi capitoli per tracciare la via dell’uscita dal lavoro. Ogni capitolo ha ovviamente altrettanti sottoparagrafi, che fanno l’orrore dei pensionandi e la gioia dei consulenti del lavoro, dei patronati e di ogni intermediario più o meno preparato.

Il congelamento dei tre mesi aggiuntivi costerebbe circa 3 miliardi di euro, secondo le stime dell’Osservatorio sui conti pubblici. Inaccettabile per un Mef giustamente soddisfatto per l’uscita dalla procedura di infrazione Ue per l’eccesso di deficit. E allora? Per non doversi rimangiare le promesse avventate dei mesi scorsi, ecco la fantasia sfrenata dei soliti noti.

L'ipotesi principale, in attesa del varo della manovra – da qui al 31 dicembre c’è tempo per tutto e di più - prevedrebbe che la sospensione dell'aumento dei tre mesi dell'età di pensionamento scatti soltanto per chi nel 2027 avrà già compiuto 64 anni. Per loro lo scalino dei tre mesi non ci sarebbe più. Questo significa, per esempio, che se un lavoratore ha 63 anni, pur avendo lavorato per 42 anni e 10 mesi si vedrà applicato questo scalino di tre mesi, mentre il suo collega di 64 anni, invece, riceverebbe il regalo del “congelamento”.

Figli e figliastri? Fratelli e fratellastri. La soglia dei 64 anni diventerebbe la tagliola per dare il via libera alle uscite anticipate dal lavoro, a prescindere da ogni sana considerazione sulla opportunità di prevedere scivoli che il buon senso non giustifica.

Non basta, si stanno moltiplicando le ipotesi, per favorire una corsa a ostacoli sempre meno comprensibile: c’è chi vorrebbe introdurre un aumento di solo 1 mese nel 2027, per poi recuperare i 2 mesi rimanenti nel 2028; e chi insiste nell’immaginare il Tfr (soldi propri, denaro dei lavoratori) come scivolo per uscire dal lavoro in anticipo, a prescindere dall’aspettativa di vita. E c’è chi rilancia il vecchio capitolo dei lavori usuranti.

Ora toccherà al “tavolo di Palazzo Chigi” derimere i dubbi e gestire le pressioni dei lobbisti pasticcioni e arroganti. La confusione regnerà sovrana, non solo per questi tre mesi scarsi di negoziati in vista della Legge di Bilancio, ma per tutti coloro che vorrebbero poter pianificare con chiarezza il loro futuro personale e familiare, in vista della pensione.