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Economia
Rete Tim, ecco perché l'offerta di Kkr mette d'accordo governo, Vivendi e Cdp
Henry e Arnaud de Puyfontaine

Rete Tim, ecco perché l'offerta di Kkr metterebbe d'accordo tutti

Sensazioni, per carità. Nulla di ufficiale, anche perché da tutte le parti in causa le bocche sono più che cucite. Eppure c’è l’impressione che questa possa essere la volta buona. Parliamo, naturalmente, della rete Tim e della cessione di questo asset strategico. Tutti i partecipanti al tavolo delle trattative avrebbero qualcosa da guadagnare e molto da perdere se, per qualsiasi motivo, si dovesse decidere di non andare avanti con questa possibilità. Dopo la richiesta da parte di Kkr di una proroga dell’offerta non vincolante fino al 24 marzo – resasi necessaria perché il Governo vuole capire meglio quali sono i limiti del suo potere e in che modo può esercitare la golden power – le cose si sono messe decisamente meglio. 

C’è da definire anche la modalità di acquisto. Fonti accreditate spiegano ad Affaritaliani.it che la formula che prevede una governance in capo a Cassa Depositi e Prestiti, in cambio di una quota di minoranza in stile Terna, e una gestione operativa in mano a Kkr (con la maggioranza delle azioni) sarebbe quella più efficace.

Rete Tim, c'è il rischio di infrazione della normativa Ue sugli aiuti di stato

Tra l’altro, oltre al possibile altolà da parte dell’Antitrust se Cdp decidesse di correre da sola – visto che la Cassa detiene anche il 60% di Open Fiber – ci sarebbe il rischio che l’operazione venga considerata come aiuto di stato da parte dell’Ue, sulla scorta dell’articolo 107 del TFUE (il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) che si occupa di questa fattispecie. In particolare, in questo testo si configura l’aiuto di stato qualora l’intervento pubblico falsi la concorrenza sul mercato. Se Open Fiber e la rete Tim fossero controllate da un unico soggetto sarebbe difficile immaginare una pluralità di player nello scenario.

Ma, si diceva, tutti potrebbero guadagnare dall’accelerata sulla rete. Prima di tutto Tim. Un’azienda che ha intrapreso un percorso di risalita dai gorghi in cui era finita, che ha presentato un piano industriale migliorato e la cosiddetta “guidance” in rialzo ma che rimane gravata da un debito lordo che è di 31 miliardi. Per intenderci, parliamo del doppio del fatturato (tra l’altro in crescita) che è stato annunciato ai mercati la scorsa settimana. Vendere la rete significa, finalmente, tornare a poter puntare sulla crescita, sull’innovazione e sui servizi. Un bello scenario che metterebbe la parola fine a una vicenda complicatissima iniziata un quarto di secolo fa all’epoca delle privatizzazioni (frettolose) avviate dal primo governo Prodi.

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