Esteri
Israele, l'accordo di Trump su Gaza è l'umiliazione definitiva per la sinistra woke
Tra propaganda, diplomazia e geopolitica: che cosa significa l'accordo di pace raggiunto da Trump a Gaza

Donald Trump e Benjamin Netanyahu
L'accordo di Trump su Gaza è l'umiliazione definitiva per la sinistra woke (con modifiche rispetto al precedente)
La corrispondente del britannico The Telegraph, Sherelle Jacobs, ha scritto un editoriale molto interessante, che merita attenzione, sul tema del momento, ovvero l'agognata pace in Palestina.
L'accordo di cessate il fuoco a Gaza – sostiene la giornalista – è un "prodigioso risultato diplomatico per Donald Trump". È una vittoria per il suo principale alleato, Israele, che ottiene molto di più e concede meno di quanto i suoi critici ritenessero possibile.
Se le prossime fasi dell'accordo di Trump funzioneranno, anche solo in parte, l'arte della diplomazia occidentale sarà stata rivitalizzata, per il costante impegno di Trump, che, però, non vede premiati i suoi sforzi con il Nobel per la pace, assegnato invece alla venezuelana leader dell'opposizione di destra Maria Corina Machado, "per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici" – scrive Bloomberg.
In un periodo di tensioni, di escalation della violenza delle piazze rosse, di scioperi generali improvvisati, che hanno creato grandi disagi all’Italia ma non hanno ottenuto alcunché per la causa palestinese, risuona ancora più forte il video dei festeggiamenti da parte dei bambini palestinesi, a margine dell'accordo tra Israele e Hamas.
L'azione di Trump ha definitivamente cancellato anche l'ombra delle rosse "caravelle" fai-da-te, palesando il loro fallimento sia politico – nel tentativo di sostituirsi al governo italiano considerato (falsamente) inadempiente – sia umanitario, simbolico per la minima portata, non arrivata a destinazione.
Il sospetto che si sia trattato di una maldestra provocazione contro l’Italia, più che una missione zelante per Gaza che soffre, è aumentato quando l’ambasciatore israeliano sulla Flotilla, Jonathan Peled, ha dichiarato a L'Aria che tira, su La7, che "non è stato trovato nessun aiuto umanitario sulle imbarcazioni", ma droga e alcool.
Perciò, a fronte di una messinscena di propaganda della sinistra, il risultato di Trump e delle destre occidentali che lo sostengono è, sul piano politico, un ulteriore smacco per i globalisti in salsa woke.
Sempre The Telegraph continua nell'analisi sostenendo che "la buona notizia è uno sviluppo imbarazzante per l'antisionismo di sinistra", che si ritrova dalla parte sbagliata della storia. Gli attivisti amanti di Greta, che indossano la kefiah e denunciano Israele come il male ma difendono il terrorismo islamista allo stesso tempo, non sono mai apparsi così fuori dalla realtà.
"L'accordo e il rilascio degli ostaggi sono motivo di imbarazzo anche per Keir Starmer, Emmanuel Macron e tutti coloro che hanno dichiarato il loro riconoscimento incondizionato e prematuro di uno Stato palestinese" – scrive Jacobs sul Telegraph. I fatti dimostrano che si è trattato di "una mossa che li ha smascherati come persone fuori dal loro ambiente", che ha solo reso più difficili i veri negoziati e ha dimostrato l'irrilevanza geopolitica delle potenze europee in declino, tra cui la Gran Bretagna.
La capacità di Trump di ottenere il rilascio degli ostaggi israeliani rimasti e di mediare un accordo di cessate il fuoco globale tra due nemici esistenziali è un risultato che non può essere negato, nemmeno dai suoi nemici. Dimostra la potenza della "palla da demolizione" caratteristica del presidente, che tratta la diplomazia come una serie di transazioni commerciali ad alto rischio.
La capacità di Trump di cooptare il sostegno di molte nazioni arabe e musulmane ha lasciato ad Hamas poche opzioni.
Il presidente ha dichiarato unilateralmente la vittoria, dopo che Hamas ha presentato una risposta al suo piano di pace in 20 punti, costellato di condizionalità e riserve. È stato un colpo di genio. È difficile sottovalutare il ruolo personalmente determinante svolto da Trump nel raggiungere un accordo, che probabilmente non sarebbe riuscito a un leader americano più convenzionale.
Laddove il piano – che, comunque, è in salita, difficile, pieno di ostacoli, e nessuno può sapere se e fino a che punto funzionerà – denota un’evidente fragilità ed espone a molte incognite, sarà ricordato almeno come una tregua che, fino alla settimana scorsa, sembrava impossibile.
Si tratta di un primo passo, effettivamente storico, che va ascritto anche a chi ci ha creduto, quindi ai mediatori del mondo arabo, primi fra tutti i diplomatici di Egitto, Qatar e Turchia.
Ci sono grandi questioni irrisolte che potrebbero minare le speranze di una pace duratura. Israele non firmerà un accordo definitivo a meno che Hamas non si disarmi, ma quest'ultimo è riuscito a rimandare un accordo in merito alla seconda fase dei colloqui. Alla fine, potrebbe rifiutarsi di collaborare.
Tuttavia, nulla di tutto ciò dovrebbe sminuire la portata della svolta.
"Questo dovrebbe essere un momento di umiltà per la sinistra, che è stata opportunisticamente attratta dalla tragica guerra."
"Il conflitto israelo-palestinese è per i progressisti ciò che il Vietnam era per gli hippy: un comodo espositore a cui appendere la loro vertiginosa panoplia di cause e complessi" – attacca il Telegraph.
C’è ancora qualcosa di particolarmente vuoto nell'attuale generazione di attivisti. In quest'epoca in cui le opinioni politiche tendono a essere più un'espressione di identità che l'articolazione di una posizione coerente o di una convinzione di principio, la logica è diventata irrilevante. È così che si finisce con assurdità come "Queers for Palestine".
"La Palestina è diventata una causa di moda, con i socialisti da bar che abbinano amorevolmente le loro kefiah alle magliette Vivienne Westwood di Greenpeace. La bandiera palestinese ha finito per svolgere la stessa funzione di una borsa Birkin o di una tazza da caffè Grind: affermare il proprio status borghese e l'appartenenza a una tribù".
Prima, sulla scia della crisi finanziaria, i nemici erano i banchieri e le "corporazioni malvagie".
Poi, quando sognare una visione socialista unificante del mondo è diventato intellettualmente troppo impegnativo – e forse anche un esercizio fallito nei secoli passati – la sinistra radicale è passata a presagire l’apocalisse climatica.
Poi si sono immersi nel vorticoso carnevale delle cause delle minoranze, mostrando "solidarietà" con Black Lives Matter e inveendo contro il "razzismo sistemico".
Dopo essersi stancati di ascoltare podcast sulla schiavitù e di condividere video virali su TikTok di "Karen razziste", sono passati ad attaccare adesivi gender-neutral sui bagni delle donne e a twittare odio contro J.K. Rowling.
L’omicidio di Charlie Chirc è stato il triste epilogo del sinistrismo woke.
Il fatto che Hamas sia un gruppo terrorista, in buona parte corrotto, non assolve affatto Israele.
Il conflitto israelo-palestinese dura da 77 anni e la componente escatologica religiosa è preponderante, soprattutto per il sionismo, che è l’attuazione del Grande Israele come "terra promessa" per il popolo che si considera eletto, quindi privilegiato da Dio, che avrebbe il "diritto" di ottenere tutta la Palestina, nel suo significato messianico.
"La sinistra radicale ha fomentato un'atmosfera così conflittuale – e cerebralmente inattiva – che è impossibile avere una discussione equilibrata" – chiosa Jacobs sul Telegraph.
Finalmente, possiamo osare sperare che una guerra infame durata due anni e costata decine di migliaia di vite possa giungere al termine.
Il Medio Oriente merita la pace, le famiglie coi loro bambini meritano la fine del calvario.
"Speriamo che gli opportunisti della sinistra radicale siano presto costretti a trovare un’altra causa" – conclude The Telegraph – dato l’ennesimo fallimento, ma anche che Trump non raffreddi l’impegno per il mancato Nobel per la pace, che favorirebbe i falchi di Netanyahu, già votanti contro l’accordo, e le frange più estreme di Hamas, in una possibile, drammatica, ripresa della guerra.