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Esteri
Via della Seta, dubbi sulle alternative Usa-Ue. Italia più lontana dalla Cina

Via della Seta, dalla grande opportunità alla grande minaccia

Nel 2013, quando fu lanciata, evocava solo antiche e romantiche strade polverose. Avventurose e affascinanti anelli di congiunzione tra Occidente e Oriente. Oggi, invece, solo evocarla suscita reazioni preoccupate e provoca il pressing degli Stati Uniti. La Via della Seta, o meglio Belt and Road Initiative si è trasformata in pochi anni da "grande opportunità" a "grande rischio". Almeno nel modo in cui viene percepita da Washington e di riflesso da sempre più governi europei. Nonché dallo stesso esecutivo europeo, la Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen.

L'Italia lo sa bene, visto che è l'unico paese del G7 ad aver firmato l'adesione al progetto di Pechino, annunciato da Xi Jinping dal Kazakistan nella sua forma terrestre e dall'Indonesia nella sua forma marittima. Eppure il nostro paese è passato dall'accelerazione pre firma del memorandum of understanding tra governo Gentiloni e governo Conte I alla parziale retromarcia del governo Conte II, sfociata poi nella retromarcia totale del governo Draghi, che a colpi di golden power sta allontanando le aziende cinesi dagli interessi strategici (e talvolta anche non strategici) italiani, persino aprendo a un riesame dell'accordo del marzo 2019, comunque non vincolante e dunque già vittima di un downgrade nei fatti. 

I progetti alternativi alla Via della Seta, dagli Usa all'Ue passando per l'Asia

E l'Europa si muove per produrre piani alternativi, imitando quanto fatto dagli Stati Uniti ma anche da altre potenze medie asiatiche come Giappone e India. In particolare, la commissione Ue ha lanciato il cosiddetto piano Global Gateway. Un programma da 300 miliardi distribuiti nei prossimi 5/6 anni e fino al 2027. "Con il Global Gateway facciamo un passo in più per appoggiare investimenti e infrastrutture nel resto del mondo. I Paesi hanno bisogno di partner di fiducia per conseguire progetti sostenibili, segnati da alta trasparenza e buona governance. Vogliamo mostrare che un approccio democratico fondato sui valori può affrontare le sfide globali", ha dichiarato von der Leyen presentando il progetto. 

Significativo il fatto che la Commissione lo abbia messo in diretta relazione e competizione con la Cina. "Tra il 2013 e il 2018 gli Stati membri europei sono stati il primo fornitore di aiuti allo sviluppo nel mondo. Il nostro aiuto allo sviluppo è allo stesso livello di quanto fa la Cina con la Via della Seta. Ma le modalità sono diverse: la Cina presta, noi diamo finanziamenti. E oltre a questo promuoviamo anche investimenti privati", ha detto infatti la commissaria al Partenariato internazionale Jutta Urpilainen. Nel progetto rientrano dunque alcune parole chiave come valori democratici e standard elevati, buon governo e trasparenza, partnership paritarie, infrastrutture verdi, pulite e sicure.

Per qualcuno si tratta di lacci e lacciuoli che renderanno in realtà più complicati gli investimenti e il loro dispiegamento, perché soggetti a valutazioni di tipo politico/etico/morale. Lacci e lacciuoli che invece Pechino non ha. E soprattutto, essendo l'unico soggetto coinvolto nei negoziati bilaterali coi paesi che fanno parte dell'iniziativa, ha una capacità decisionale molto maggiore e più flessibile rispetto ai piani multilaterali annunciati come "risposta" alla Belt and Road.

Anche perché nel tempo si sprecano i progetti nati in tal senso. Uno di questi è per esempio la Blue Dot Network, iniziativa formata nel novembre 2019 da Stati Uniti, Giappone e Australia per fornire valutazione e certificazione dei progetti di sviluppo delle infrastrutture in tutto il mondo su misure di trasparenza finanziaria, sostenibilità ambientale e impatto sullo sviluppo economico, con l'obiettivo di mobilitare il capitale privato per investire all'estero. Un progetto inizialmente guidato dalla U.S. International Development Finance Corporation (DFC), dalla Japan Bank for International Cooperation, e dal Department of Foreign Affairs and Trade dell'Australia.

Non è mai davvero decollato ed è poi sostanzialmente confluito nel Build Back Better World annunciato da Joe Biden durante il G7 del 12 giugno 2021. Un progetto anti Pechino che si ripromette di facilitare investimenti da svariati trilioni di dollari in infrastrutture necessarie ai paesi in via di sviluppo entro il 2035. L'iniziativa mira a catalizzare i finanziamenti per infrastrutture di qualità dal settore privato e incoraggerà gli investimenti del settore privato che sostengono "il clima, la salute e la sicurezza sanitaria, la tecnologia digitale, e l'equità e l'uguaglianza di genere".

Per il momento le promesse restano piuttosto vaghe, mentre le sigle si moltiplicano. Tra queste anche la Supply Chain Resilience Inititative, lanciata da Giappone e India per cercare di ridurre la sovradipendenza economica e commerciale accumulata nei confronti della Cina. E poi, appunto, c'è la Global Gateway, nell0ambito del quale il Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile+ (Efsd+), il braccio finanziario di Ndici-Global Europe metterà a disposizione fino a 135 miliardi di euro per investimenti garantiti per progetti infrastrutturali tra il 2021 e il 2027 mentre fino a 18 miliardi di euro saranno messi a disposizione in sovvenzione i finanziamenti dal bilancio dell'Ue e dalle istituzioni finanziarie e finanziarie europee per lo sviluppo hanno fino a 145 miliardi di euro in volumi di investimento pianificati.

D'altronde, lo scetticismo nei confronti della Cina sta crescendo anche nel Vecchio Continente. Senza Angela Merkel, la leader più vicina a Pechino negli ultimi anni, il nuovo nascente governo tedesco ha approvato un programma nel quale si cita in modo critico Pechino su diversi dossier. La stessa Merkel ha parlato di "ingenuità" nel suo approccio alla Repubblica Popolare e ora ci si aspetta che la Germania possa virare su un atteggiamento diverso in grado anche di trascinare con sé parte dell'Europa. Per esempio la Lituania, che ha consentito l'apertura di un'ambasciata de facto taiwanese a Vilnius, con Pechino che ha risposto richiamando l'ambasciatore e mandando un funzionario di rango minore in sostituzione. Bloccando per altro di fatto la cooperazione commerciale.

L'Italia si muove su un crinale insidioso, alla vigilia tra l'altro dell'anno del turismo e della cultura Italia-Cina 2022 che ora rischia il flop a causa della ripresa pandemica. Rischia proprio di non partire vista l'assenza di voli diretti tra i due paesi se non quelli operati per imprenditori residenti. Nel frattempo il governo Draghi continua a bloccare progetti cinesi in Italia. In attesa di capire se a livello multilaterale può davvero prendere piede un progetto alternativo a quello cinese. Intanto altri due paesi africani hanno appena aderito alla Via della Seta in un forum bilaterale nel quale Xi Jinping ha promesso un miliardo di dosi di vaccino anti Covid al continente.

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