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Londra, 4 feb. (Labitalia) - Il Regno Unito è fuori dall'Unione europea. Che cosa cambierà per le aziende e per le banche italiane? E quella dello Stato d’oltremanica è stata la scelta giusta? A fare il punto con l'Adnkronos/Labitalia è Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, società di consulenza specializzata principalmente nel settore finanziario, ma anche in quelli manifatturiero, dei servizi e della distribuzione. "Per le aziende italiane - dichiara - nel breve cambierà poco. Queste, a dire il vero una minoranza, che fabbricano in UK avranno problemi di adeguamento alle nuove normative connesse con le regole di soggiorno, quindi per quanto riguarda il personale, in particolare se italiano. Più problematica la situazione delle nostre imprese nazionali che producono nel nostro Paese ed esportano in Gran Bretagna. Pensiamo in particolare a quei settori, come l’agricoltura, tipicamente destinatari dei fondi Ue: esportare un macchinario italiano oltremanica sarà più difficile"."Vedo - spiega - una situazione più incerta sul lungo periodo: il primo ministro Boris Johnson è molto probabile che imiterà il presidente Donald Trump. Cercherà cioè di incrementare la produzione interna di beni, con l’obiettivo di favorire le esportazioni e ridurre le importazioni. Dobbiamo aspettarci una politica di dazi simile a quella messa in campo oltreoceano da Donald Trump e una svalutazione della sterlina. Non dimentichiamo che Trump ha più volte parlato di un nuovo grande accordo commerciale tra Usa e UK. Di tutto questo contesto le nostre aziende potrebbero risentire negativamente"."Per la finanza - sostiene - il discorso è simile, ma al contempo diverso. Bisogna dire che la piazza londinese è tra le maggiori del mondo e le nostre banche e i nostri fondi sono strettamente vincolati ad essa. In generale le nostre istituzioni finanziarie saranno più agevolate ad agire sulla piazza della capitale britannica. Brexit comporta meno vincoli normativi, meno costi di adeguamento alle normative, più flessibilità"."E’ molto probabile - osserva Primanni - che Boris Johnson, come abbiamo spiegato sopra, svaluterà la sterlina, ma questo determinerà il rischio di inflazione, il che potrebbe indurre la banca centrale britannica ad alzare i tassi creando una situazione di investimento favorevole per le nostre banche e le nostre istituzioni finanziarie che potranno ottenere margini di interesse importanti"."Ma non è tutto oro quel che luccica - avverte - la politica economica e finanziaria che il primo ministro britannico sembra intenzionato a seguire sulla falsariga di quanto fatto dallo storico alleato Usa, ha un rischio evidente: Trump ha potuto realizzare una politica ecofin isolazionista in quanto alla guida di un Paese immenso, la prima potenza economica mondiale, con alle spalle una Banca centrale con grandi disponibilità. Ciò non è il caso del Regno Unito: Johnson rischia il crack del Paese e della Banca centrale britannica. Non dimentichiamoci di come solo pochi anni fa George Soros fece crollare la sterlina con una memorabile speculazione finanziaria".




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