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Smart working, la rivoluzione del lavoro intelligente: nuovo libro di De Masi

All'inizio del 2020 circa 570 mila italiani lavoravano in smart working (+20% rispetto al 2018), ma "tra il 28 febbraio e il 31 agosto 2020, senza nessuna intenzione o preparazione, è stato realizzato in Italia il più grande esperimento organizzativo mai tentato nella storia del paese. Tutti insieme, milioni di lavoratori - impiegati, funzionari, manager, dirigenti e imprenditori - hanno improvvisamente smesso di lavorare in ufficio, come facevano da secoli, e hanno cominciato a lavorare da casa. Stessa cosa è accaduta nel resto del mondo, e più o meno nello stesso arco di tempo, a tre miliardi di colletti bianchi".  

Domenico De Masi, il maggior studioso e teorico dei cambiamenti del mercato del lavoro, nel suo libro Smart working - La rivoluzione del lavoro intelligente, edito da Marsilio, illustra l'attuale fase di cambiamento epocale che la crisi del Covid-19 ha scatenato nel mondo, con dovizia di dati e riferimenti ad analisi e studi sul passato e sul futuro del “lavoro agile”, e più in generale sul futuro dell'occupazione nel terzo millennio.

Un tema, lo smart working, che ovviamente non si adatta a tutti i lavori, ma a quattro milioni di persone che possono così migliorare la loro qualità di vita, aiutando a ridisegnare le città, il traffico, le relazioni interpersonali libere da quelle ore che tanti passano in macchina, per raggiungere il posto di lavoro. In questa materia l'Italia prima della pandemia "era decisamente arretrata rispetto ad altri paesi europei, anche alla luce del fatto che il management italiano è stato colpevolmente contrario alla modernizzazione del lavoro".    

Spiega De Masi: “È difficile scovare settore per settore, azienda per azienda, ufficio per ufficio quante mansioni possono essere svolte solo in presenza e quante in distanza. Lo smart working riguarda i dirigenti, i funzionari, i quadri e gli impiegati e la percentuale di questi lavoratori intellettuali oscilla notevolmente da settore a settore. Nelle industrie manifatturiere, ad esempio, sono solo il 31 per cento; nei servizi di informazione e comunicazione salgono all'89 per cento; nella produzione di software, consulenza informatica e attività connesse arrivano al 92 per cento; nelle aziende finanziarie e assicurative raggiungono addirittura il 98 per cento".

De Masi poi ricorda gli anni in cui si è aperto lo spiraglio dei primi tentativi, a iniziare dall'Inps guidata da Gianni Billia, che rappresenta nella pubblica amministrazione il primo tentativo di avviare il telelavoro, o la ricerca avviata su impulso di Antonio Bassolino a Napoli per vedere gli effetti dello smart working in una realtà come quella partenopea sul decongestionamento del traffico e sulla qualità della vita.

"La vita sociale - ricorda il professor De Masi - resterà un elemento importante dell'attività lavorativa. Il lavoro da casa rischia di accelerare la dispersione di queste dinamiche aggregative positive, ma le comunità territoriali possono fornire, se non un'alternativa, almeno un fattore da riscoprire". Vedremo insomma nel quadro delineato con lungimiranza dal libro, "un po' di vita nei quartieri dormitorio e nelle città di provincia svuotate dal processo di concentrazione verso le megalopoli".

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