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Aldo Grasso erede di Montanelli: l'ultimo baluardo del "politically incorrect"
Aldo Grasso e Indro Montanelli

Sterminate le sue pubblicazioni sulla televisione e sul cinema. Ricordiamo solo la monumentale “Storia della Televisione” edita in due volumi per la Garzanti nel 1998: “La TV italiana delle origini” e il “Dizionario dei personaggi e dei termini tecnici e gergali”.

I suoi editoriali, o meglio Elzeviri, sono taglienti ed affilati e non fanno sconti a nessuno ma producono un piacere fisico al lettore che ne rimane imbrigliato e intimamente avvinto e giunge alla conclusione che “c’è un giudice a Berlino”. Grasso è l’erede degli Elzeviri televisivi che scriveva Sergio Saviane su l’Espresso, di cui il più celebre fu quello contro lo scrittore Alberto Moravia.

Grasso è anche il prosecutore dei temibili Editoriali di Indro Montanelli che, tra l’altro, fu amico dello stesso Saviane e anzi gli pagò una provvisionale immediatamente esecutiva di 40 milioni di lire richieste da Irene Pivetti, allora presidente della Camera, per un articolo pubblicato su “la Voce” che vide addirittura l’intervento della Digos.

In un mondo di patacche Grasso riesce a illuminare la Verità e lo fa con un certo gusto sadico, di colui che sa che è pericoloso ma che –come dice il vangelo di San Giovanni, “renderà liberi”.

Naturalmente si è fatto molti nemici, soprattutto tra finte baronesse dell’etere e indisponenti principini televisivi, ma anche molti estimatori che non vogliono la solita minestrina riscaldata e insipida. Un esempio di titolo “scorretto” recente: “La nuova Mediaset modello Techetecheté. Berlinguer è un bluff, Merlino faticherà”.

In questi giorni è impegnato in una querelle con Alessandro Orsini iniziata lo scorso anno a causa di un titolo ficcante: “Lo spiritato professore che fa esultare i putinisti di mezza Italia”. Un'altra perla filologica l’ha donata quando scrisse: “A Cartabianca c’è il clown, il nano, la donna cannone e ora pure Orsini”. Al che il professore sbroccò e travestitosi da Capo della Spectre replicò alla Marchese del Grillo: “Aldo Grasso, sai cosa penso dei tuoi articoli? Belli, mi fanno ridere. E sai perché? 10 mesi che io vengo insultato… Sono un esperto in rivoluzioni e un esperto in repressioni. E so esattamente quali tasti premere. E so quali sono le reazioni ai tasti che premo. Aldo Grasso, io ti faccio dire quello che io voglio dire”.

In realtà è Aldo Grasso che porta l’interlocutore, anche quando ha un aspetto compito e perbenino, a perdere le staffe premendo i tasti aggettivali giusti, come quel “spiritato” e l’accostamento alla “donna cannone”.

Grasso è un signore della sintassi provocativa, un barone dell’aggettivo devastante, un principe della filologia grammaticale. I suoi non sono scritti, ma siluri che filano dritto al bersaglio e quando esplodono lanciano detriti ovunque. Ben venga quindi chi dice pane al pane e vino al vino. Meglio un vero critico che cento finti adulatori.

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