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Medicina
Alzheimer, le ultime scoperte: dormire male avvia alla demenza. LO SPECIALE
La scienziata Maria Carrillo, alla guida del comitato scientifico di AAlzheimer's Association

di Paola Serristori

Difficoltà a ricordare qualcosa che si appena visto, letto, ascoltato… Difficoltà a trattenere un ricordo recente… Un nervosismo crescente… Anche giustificato dallo sconcerto di non riuscire a fare qualcosa che prima riusciva facile, invece ora… ci si sente disorientati dalla perdita di una consuetudine. Così ci si accorge di soffrire del morbo d’Alzheimer. 

La malattia è già ad uno stadio avanzato quando questi sintomi compaiono. Come evitare di ammalarsi? Soprattutto, come beneficiare di quel 35 per cento di riduzione del rischio che, secondo gli esperti, è possibile?

Gli scienziati leader nella ricerca in tutto il mondo affermano che ogni giorno possiamo fare qualcosa per combattere la demenza. Il prossimo anno sapremo se esiste una cura efficace.

Affaritaliani.it ha preparato uno speciale sulle ultime scoperte, incontrando a Los Angeles i maggiori tra i seimila esperti di 60 Paesi riuniti nella più importante piattaforma di conoscenze, Alzheimer’s Association International Conference (AAIC 2019), organizzata da Alzheimer’s Association, l’associazione no-profit, con sede a Chicago, diffusa in America e nel resto del mondo, tra cui l’Italia (https://www.alz.org/it/alzheimers-association-italia.asp)

Chi ha avuto genitori o parenti prossimi che si sono ammalati di demenza può modificare il rischio genetico cambiando abitudini. A cominciare dal sonno, che nella prima parte della vita è fondamentale per lo sviluppo del cervello e negli anni seguenti continua ad essere indispensabile per l’eliminazione dei rifiuti del metabolismo tra i neuroni, evitando la formazione di depositi tossici.

La scienziata Maria Carrillo, che guida il comitato scientifico di Alzheimer’s Association, sottolinea: “L’insufficienza delle ore di sonno provoca nelle persone con demenza non solo ulteriori patologie, tra cui perdita di equilibrio e cadute, problemi coronarici, depressione, ma anche peggiora la perdita di memoria e la capacità di pensiero.” 

La professoressa Ruth M. Benca, preside di Psychiatry & Human Behavior School of Medicine, University of Chicago. ha condotto una sessione plenaria di AAIC 2019 sulla durata e la profondità del riposo, che peggiorano in modo fisiologico con l’età: “Il metabolismo del glucosio diminuisce e scatena neuro-infiammazione e neuro-degenerazione, specialmente nell’area dell’ippocampo. Probabilmente il processo è legato a tau-patia, ossia al malfunzionamento della proteina tau, che provoca grovigli tra le sinapsi, o ad altra degenerazione proteica.”

Il sonno è una delle prime funzioni distrutte dall’Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD). Due simposi ad AAIC 2019 coi maggiori studiosi dei disturbi del sonno hanno annunciato che un inferiore ritmo circadiano, l’alternanza di sonno e veglia, viene osservato nei casi di demenza. 

Più chiaramente: l’insonnia è collegata al rischio di Alzheimer. La ricerca scientifica ha evidenziato che le donne, soprattutto nel periodo della menopausa, hanno frequenti problemi nell’addormentarsi e di risveglio nel cuore della notte. Bastano cinque anni, solo cinque anni, per fare precipitare l’equilibrio biologico del cervello. Le donne risultato negli studi di incidenza dell’Alzheimer colpite il doppio degli uomini. Dormire bene è vitale.

L’apnea, la ritenzione del respiro, è altrettanto rischiosa. Gli effetti della diminuzione dell’ossigenazione dei tessuti sono visibili sulla materia grigia e bianca (anche nei bambini che soffrono di apnea), e si ripercuotono non solo sulle funzioni cognitive, elaborazione delle emozioni, ma anche sull’apparato cardiovascolare. L’apnea ostacola la “pulizia” delle tossine del metabolismo e facilita i depositi corticali e precuneali con iperattività, iperfusione, ipermetabolismo, ipertrofia. La privazione di sonno aggrava la vulnerabilità all’Alzheimer del precuneo (ndr: regione del lobulo parietale superiore davanti al cuneo del lobo occipitale), sia nell’adattamento ambientale che nelle capacità cognitive. 

La domanda di fondo: prendere i sonniferi per regolare il sonno fa bene o male? Trattamenti con benzodiazepina e tetra o tri-ciclici sono consigliabili?

Lo scienziato David Knopman ricorda che il sonno è strettamente legato ai depositi di amiloide e tau, ma raccomanda la valutazione individuale dei casi: “L’epidemiologia generalizza le ipotesi. Oggi i ricercatori hanno chiarito che i farmaci per il sonno non provocano un peggioramento delle funzioni cognitive, ma che possono essere collegati. Dunque i medici devono selezionare molto attentamente i pazienti ai quali prescriverli, scegliere insieme la migliore terapia.”

Gli studi più importanti, presentati ad AAIC 2019, dimostrano che in casi di insonnia grave c’è stato un collaterale miglioramento delle abilità della memoria, ma per altri volontari dei gruppi un peggioramento. 

Ryan Falck, ricercatore alla University of British Columbia, Vancouver, ha misurato i benefici dell’attività fisica sul sonno. Almeno mezz’ora di camminata a ritmo intenso durante il giorno, tutti i giorni. Si può anche intervenire sull’orologio biologico delle ventiquattr’ore, favorendo il senso di veglia o di rilassamento che consente di addormentarsi. I volontari tra i 65 e 85 anni hanno frequentato una volta alla settimana, per un mese, lezioni sulle tecniche di buon sonno, in seguito si è aggiunta la cronoterapia, l’esposizione alla luce diurna, e l’attività fisica. Tutti hanno dormito meglio e sono sentiti più riposati.

Yue Leng, epidemiologa a California Pacific Medical Center Research Institute, San Francisco, ha condotto uno studio sulla frequente prescrizione di sonniferi su un campione di 3068 uomini e donne, bianchi e neri, dai 70 a 79 anni, seguiti per quindici anni. Il 5,6% aveva assunto spesso (5-15 volte al mese) o quasi sempre (15-30) un sonnifero. Per lo più era un’abitudine della popolazione bianca (7,7% rispetto al 2,7% dei neri). Indipendentemente dalla classe sociale, reddito, assunzione di alcol, fumo, il 43% di coloro che avevano assunto più sonniferi nel corso degli anni si ammalava di demenza. Il 95% erano bianchi, in maggioranza donne. I neri non avevano sintomi di decadimento cognitivo. Leng deduce che il frequente uso a lungo termine è associato a demenza e raccomanda ai medici di non prescrivere sonniferi a chi è a rischio di demenza.

Elisabeth Vernon, Utah State University, ha verificato gli effetti dei sedativi su una comunità di anziani nella Contea di Cache, nello Utah. Diverse classi di farmaci comunamente prescritti incidono sulla regolazione biologica delle fasi del sonno. Cache County Study on Memory in Aging ha arruolato 3656 partecipanti di 65 anni ed oltre, controllati quattro volte nel corso di dodici anni. Tra gli uomini il rischio di ammalarsi di Alzheimer maggiorava di 3.6 volte. Tra le donne il risultato era più complesso: chi non aveva disturbi del sonno, ma si era affidata ai sonniferi era peggiorata. Chi soffriva di insonnia ed aveva assunto farmaci per dormire, aveva ridotto il rischio del 35.2%. Perché? “Il sonno è associato al rischio di Alzheimer. I farmaci hanno effetti collaterali, le terapie alternative sono preferibili.”

 

 

 

 

 

 

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