Politica
Checco Zalone, l'Alberto Sordi del renzismo

Di Ernesto Vergani
Che cosa succede a milioni di italiani che hanno visto il film "Quo vado" di Checco Zalone? E' un film di regime? Che pregi ha? Quale il potere del marketing? La critica può rinunciare al suo ruolo? Gli italiani si meritano Checco Zalone?
Bisogna dirlo subito. E' un film con una sequela di parolacce. Un film dunque volgare. Noioso per chi ha minimamente qualità intellettuali. Bastino due frasi: "Sto facendo una pugnetta a un orso polare"; "E' la femmina che va di lingua". Nessun moralismo. Il film è un cinepanettone e le parolacce (subito, a inizio del film, la frase: "Questa macchina fa cagare") servono per attirare al botteghino e far ridere la gente che va raramente al cinema. De gustibus non disputandum est?
È indubbio quanto in modo consapevolmente ambiguo, Zalone contrappone l'Italia tradizionale (del posto fisso, del paese più bello del mondo, degli italiani gente di cuore) ai paesi nordici (Norvegia, multietnici, coi matrimoni gay, dove la gente rispetta le regole in modo quasi ossessivo). Sintesi di ciò il posto fisso (in Italia) e la rinuncia a esso da parte del protagonista (costretto all'estero perché ricusi il posto fisso).
L'effetto è positivo, sotto un certo punto di vista. Molti italiani che hanno visto il film, forse prenderanno inconsapevolmente coscienza e introietteranno minimamente che il mondo è cambiato. Che l'Italia rispetto ad alcuni paesi, ha ambiti di inciviltà. Prenderanno atto anche che il mondo del lavoro è mutato e che ciò è inevitabile.
Il film è renziano (il premier ha speso parole di apprezzamento) perché, senza mai nominare Renzi (ma si pensi alla sottile adulazione della frase: "Gli dei ti hanno condannato alla partita Iva"), presenta di fatto forse la vera riforma del governo Renzi, quella appunto del mondo del lavoro (Jobs Act). Il solo politico nominato, in una canzoncina, è Silvio Berlusconi. Che al pubblico apparrà un esponente della Prima Repubblica (posto fisso…). Traduzione: il nuovo è da Renzi in avanti. Poi c'è tutto il peggior nazionalismo sul paese più bello del mondo (frase realmente affermata anche da ministri dell'attuale governo; concetto risibile e basterebbe chiederlo agli oltre sette miliardi di abitanti della terra…).
Ciò che più conta è la gigantesca macchina di marketing. Che fa paura. A questo punto si può fare qualsiasi lavaggio del cervello agli italiani. Il film è stato proiettato in una sala su tre. Ciò fa venire dubbi. Il film è stato visto in tutte le sale parrocchiali e degli oratori italiani durante le vacanze di Natale. I preti, i vescovi, che cosa dicono della sequela di parolacce? Ma c'è anche la sottile adulazione alla Chiesa: "E magari il Signore mi darà un bimbo maschio" - che ovvio poi sarà femmina. E però del resto oggi tutto è marketing. Si pensi ai libri, fatti scrivere (o scritti, tanto chi può dimostrarlo…) a personaggi di fama che nulla hanno a che fare con la cultura e l'intellettualità.
Ciò che più ferisce sono i giornali. E la critica. Si lasci perdere l'operazione di co-marketing per cui Checco Zalone canta una canzone celentanesca, camuffato da Adriano Celentano, e il Corriere della Sera pubblica un fondo (in prima pagina) firmato da Adriano Celentano, che elogia Zalone.
Chi scrive (che ha sempre aborrito e mai visto un cinepanettone) è andato a vedere il film per capire il perché dell'assenza di critiche e lo stillicidio di notizie sul record di incassi. Nei grandi giornali non una parola sulla volgarità, sulla sequela di parolacce. Che cosa avrebbero risposto intellettuali come Giuseppe Pontiggia o Giovanni Raboni, del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera? Per giunta, all'inizio del film, c'è pure la frase: "Poco cuore ce l'hanno quelli di Milano" - incredibile, la regione di Milano, che ha accolto tante persone dando loro lavoro, una delle regioni più ricche d'Europa, al pari delle regioni di Londra e della Germania del Nord… Appunto, che cosa risponderebbero Giuseppe Pontiggia e Giovanni Raboni alla frase: "Che cosa dire di un film in cui il protagonista afferma che sta facendo una pugnetta a un orso polare?". Chi scrive si limita a parafrasare Nanni Moretti: gli italiani si meritano Checco Zalone.