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Politica
"Conte e Bonafede? Stop ai processi che durano all’infinito"
Paolo Sisto
Lapresse

All’indomani del via libera alla riforma della giustizia in Consiglio dei ministri, cade il paravento dell’unanimità faticosamente raggiunta a Palazzo Chigi, tra distinguo e vere e proprie prese di distanza. Il malumore più forte si registra dalle parti del Movimento cinque stelle e ad esprimerlo sono stati in particolare l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede e l’ex premier Giuseppe Conte. Anche Forza Italia con il coordinatore nazionale Antonio Tajani sottolinea da un lato il passo avanti compiuto, ma dall’altro anche la necessità di “correggere qualcosa in Parlamento”. Affaritaliani.it ne ha parlato con il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. L’esponente di FI, intervistato dal nostro giornale, ammette subito che “il tentativo di stress del provvedimento fatto all'ultimo minuto dal M5s non può essere condiviso”. Nel merito, e in particolare sul nodo della prescrizione, poi, spiega come la proposta che ha ricevuto l’ok in Cdm sia “già frutto di una mediazione” rispetto al lavoro svolto dalla Commissione Lattanzi. “Un dato è certo – aggiunge -: la ragionevole durata del processo è tornata tra noi”.

Sottosegretario Sisto, la mediazione Draghi-Cartabia sulla riforma della giustizia penale, dunque, la convince o ha qualche appunto da fare nel metodo e nel merito?
Non posso che partire da un assunto: la riforma del processo penale, come quella del civile, s’ha da fare: non possiamo mettere a rischio le risorse del Recovery Fund. E’ stata la consapevolezza di questa grande, comune responsabilità a consentire l’approvazione all’unanimità del provvedimento da parte del Consiglio dei ministri. Certamente, ed anche sul piano metodologico, il tentativo di stress del provvedimento fatto all'ultimo minuto dal M5s non può essere condiviso.

Soffermiamoci sul merito, il punto di caduta sulla prescrizione può reggere secondo lei?
La proposta è già frutto di una mediazione rispetto agli esiti della Commissione Lattanzi, e nasce proprio nello spirito di "scontentare un po' tutti", efficace presupposto perché una transazione possa definirsi "buona". Un dato è certo: l'art. 111 della Costituzione, la ragionevole durata del processo, è tornato fra noi.

Il 23 luglio la riforma approda in Aula, i tempi più lunghi in Appello e Cassazione per i reati di corruzione, come accade per quelli di mafia e terrorismo, accontentano il M5s ma lasciano perplessa Forza Italia. Come se ne esce?
Commissioni ed Aule sono il laboratorio della democrazia rappresentativa, convinzione particolarmente radicata in un Governo come l'attuale. Ma nessuno pensi di potere sabotare le riforme: si può migliorarle, affinarle, si possono discutere taluni contenuti, ma senza sfiorarne impianto e finalizzazione. Con queste cautele, i meccanismi parlamentari sono, ovviamente, i benvenuti, anche per evitare che le ideologie prevalgano sulla buona tecnica.

L'ex ministro Alfonso Bonafede, però, è sugli scudi. Lo stesso ex premier Giuseppe Conte sostiene che non si possa cantare vittoria e che si è tornati all’anomalia italiana.  Come replica?
Mi limito, semplicemente, ad una constatazione. Il precedente intervento sulla prescrizione era un'incompiuta: la norma avrebbe dovuto essere accompagnata da una riforma ad hoc per velocizzare i processi che non è mai arrivata. In altre parole, l’impegno non è stato mantenuto. Risultato della norma acefala? Il processo tranquillamente avviato all'eternità. Da qui la necessità di impedire che la ragionevole durata del processo di matrice costituzionale lasciasse definitivamente il passo ad un ‘fine processo mai’ , principio che fa a pugni con il 111, la logica e la realtà.

L’obiettivo ultimo è sempre garantire una durata certa dei processi. Ma senza rinforzare gli uffici la reintroduzione della prescrizione rischia di essere un pannicello caldo. Che ne pensa?
Sono terapie che agiscono su piani differenti ma connessi. È vero: per velocizzare dobbiamo aumentare le forze in campo. Più magistrati, più personale. Accadrà: con nuovi concorsi e innanzitutto con l'ufficio del processo. Diciottomila assunzioni triennali sono già prossime alla partenza.

Pochi magistrati, appunto, e cause civili ancora molto lunghe. Dal rapporto annuale della Commissione europea emerge che non siamo messi bene. Lo stesso commissario Ue Reynders dice che l’Italia ha ancora molta strada da fare. Davvero è ipotizzabile recuperare questi gap con una maggioranza così composita e soprattutto con una legislatura che ha davanti poco meno di due anni?
Non è ipotizzabile recuperare il gap in questione, è assolutamente doveroso. Per ottenere i fondi europei, l’Ue ci chiede di tagliare del 40% in cinque anni i tempi della giustizia civile e del 25%, nello stesso arco di tempo, quelli dei processi penali. Per le riforme della giustizia c’è un calendario particolarmente serrato: dobbiamo portare a compimento l’iter parlamentare iniziale entro la fine dicembre. Considerata la sessione di bilancio che impegnerà le Camere, entro ottobre dovrà esserci il via libera ai testi, per consentire poi al governo l’esercizio delle deleghe.  

Intanto, la raccolta firme per i referendum che vede protagonista la Lega va avanti. Con la riforma della giustizia che arriva in Aula teme possa crearsi un cortocircuito?
Non vedo alcuna possibilità di cortocircuito. Al contrario, la coesistenza tra referendum e riforme è possibile e addirittura utile, se serve ad acuire le sensibilità al cambiamento e accelerare il percorso riformatore. Se poi all'interno dei referendum ci sono spunti che il Parlamento riterrà opportuno recepire, saranno le forze politiche a deciderlo.

 

 

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