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Politica
Coronavirus, si stava meglio in quarantena. Con la fase 2 tornano le risse

E’ bastato che si diffondessero dati confortanti sul numero di decessi e contagiati e un cauto ottimismo sul contenimento dell’epidemia perché si aprissero - letteralmente - le gabbie. Non quelle, reali, in cui sono rinchiusi da due mesi milioni di italiani, limitati nelle loro libertà, nel lavoro, negli affetti, nella preghiera e purtroppo anche nella possibilità di dare l’ultimo saluto ai propri cari. Ma quelle dell’informazione strillata e superficiale e quelle della politica, di nuovo invelenita, rancorosa, incline ai processi sommari, sempre pronta a disegnare scenari (e tornaconti) futuri.

Come se il peggio fosse già alle spalle, come se la straordinaria dimostrazione di coraggio, solidarietà, autodisciplina e unità che il Paese ha dato non dovesse servire anche a uscire insieme dall’emergenza e a costruire insieme un futuro migliore.

A scanso di equivoci, non è in discussione il sacrosanto diritto di critica e di denuncia. Nei confronti del governo, del premier Conte, di molti governatori, di qualche epidemiologo improvvisato e di qualche scienziato onnipresente nei talk show. Errori ce ne sono stati : di improvvisazione, di comunicazione, di imprevidenza, di gestione sciagurata (basti ricordare l’ecatombe di anziani nelle case di riposo lombarde). Ed errori di approssimazione e correzione in corsa ce ne saranno, nel momento in cui la linea della prudenza - che il governo sembra deciso a difendere - si scontra con le giuste esigenze del mondo del lavoro, dei settori commerciali e turistici, delle imprese, di tutti i cittadini che vorrebbero riconquistare in fretta il bene prezioso della libertà di movimento.

Fanno piangere le file al Banco dei Pegni, le proiezioni del debito pubblico, il crollo probabile del turismo, dei trasporti, di imprese in ogni campo. Ma quale può essere la ricetta più corretta, se non una graduale e prudente apertura e il massimo possibile di sostegno finanziario, secondo gli accordi che si stanno delineando in sede europea? Nessun governo, di qualsiasi colore e formula, potrebbe non tenere conto di questo scenario.

Le opposizioni fanno il loro mestiere, ci mancherebbe. Ma è ridicolo che il Paese torni a dividersi, che il dibattito in corso prefiguri schieramenti basati su pregiudizi e fanatismi ideologici, come se il lockdown appartenesse alla famiglia della sinistra che pensa per prima cosa alla salute e la libera uscita fosse diventato il mantra della destra che mette al primo posto ripresa, produzione, lavoro.

Arriveremo a un referendum sul coronavirus? Voteremo sulla salute, sulla morte, sul progresso?

Può essere che il governo navighi a vista, ma è certo che stia anche seguendo indicazioni di esperti, scienziati, coordinati da una task force in cui sono rappresentate tante voci della società attiva e presieduta da un manager di provata fama e capacità. Altrimenti che cosa ci stanno a fare? Altrimenti che cosa servono ricerche, algoritmi, scenari possibili dell’evoluzione dell’epidemia, confronti con situazioni analoghe in tutti i Paesi del mondo?

E certo che il governo abbia commesso errori, ma prima di tornare alle risse di ieri, sarebbe il caso di dare un’occhiata al mondo esterno. Nessun governo è esente da responsabilità e da gravi errori. Negli Stati Uniti, il corona virus ha fatto più morti che nella guerra del Vietnam e oggi si contano trenta milioni di disoccupati. In Francia e Spagna, i giornali sembrano riprodurre in fotocopia gli interrogativi, i disagi, le critiche, i dubbi sull’operato delle autorità.  Fa eccezione la Germania, che ha dato prova di efficienza e previdenza. Ma quando si è cominciato ad allentare il confinamento, si è resa subito necessaria una marcia indietro.

Qualcuno ha detto : “Se mi guardo allo specchio, inorridisco, ma se guardo gli altri mi consolo.”

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