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Politica
Csm, Verini (Pd): "In parallelo anche una riforma costituzionale"

“E’ solo l’epifenomeno di una situazione cronicizzata che ha fatto esplodere la credibilità della magistratura italiana”. Walter Verini, deputato e responsabile Giustizia del Pd, sintetizza così, parlando con Affaritaliani.it, il caso Palamara e, quindi, il cortocircuito Anm-Csm. Ma Verini si sofferma anche sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura e, in generale, sulle altre in materia di giustizia non più rinviabili per far sì che il settore esca da un lockdown che dura da anni.

Verini, partiamo dal caso Palamara. Addirittura la nomina del procuratore capo di Roma potrebbe tornare in discussione.  E’ stato scoperchiato il cosiddetto vaso di Pandora, non le pare?
Non entro nel merito delle decisioni che Anm o organismi della giurisdizione e dell’autogoverno prendono. Sarebbe sbagliato per la politica esprimere giudizi. Altra cosa è auspicare che la magistratura italiana, come ha detto il capo dello Stato, trovi al più presto le forze per una sua radicale autorigenerazione, per sradicare pratiche che non hanno niente a che vedere con il pluralismo della cultura giuridica e che, invece, sono improntate solo al carrierismo. Bisogna però anche prendere atto di un aspetto.

Quale?
La questione è esplosa un anno fa e l’attuale Csm ha iniziato subito un’opera di rinnovamento coerente con gli appelli di Mattarella e con le aspettative che il Paese nutre.

Palamara ha cominciato a fare nomi. Non ci sta a passare per capro espiatorio. Non era meglio, come sostiene il deputato Cosimo Ferri, lasciargli la possibilità di parlare prima di espellerlo?
Non entro nel merito, ripeto, di scelte e decisioni prese dagli organismi deputati. Ferri, tra l’altro, oltre che un parlamentare, è comunque un magistrato che parla del mondo da cui proviene.

Palamara tira in ballo anche Donatella Ferranti, ex presidente della commissione Giustizia del Pd. C’è stato un eccesso di interventismo, secondo lei?
Conosco l’autonomia, l’indipendenza, la serietà professionale, umana e istituzionale di Ferranti. Io ero capogruppo Pd in commissione Giustizia quando lei la presiedeva. Mi sento di escludere che si sia mossa al di fuori delle regole, della deontologia e del rigore.

Il presidente dell’Anm Luca Poniz ritiene strano che l’opinione pubblica e la politica mostrino questa attenzione nei confronti della condotta dei magistrati e non dei politici. Siamo di fronte a due pesi e due misure?
C’è una differenza di fondo tra politica e magistratura. Non dimentichiamo che i partiti hanno il proprio giudice nel popolo che li vota. La politica è sottoposta al giudizio dei cittadini, più è credibile e più il suo rapporto con loro si rinsalderà. La magistratura è un potere autonomo dello Stato, deve rispondere alla Costituzione, a se stessa e alle migliaia di magistrati che non hanno niente a che vedere con queste pratiche. E, naturalmente, ai cittadini che chiedono giustizia giusta ed efficace. Ecco perché ritengo improprio il paragone.

Passiamo alla riforma del Csm non più rinviabile. Quali sono i nodi da sciogliere?

Non parlerei di nodi. Ho riscontrato per lo più convergenze Stiamo portando avanti un lavoro importante che poi un organo collegiale come il Cdm valuterà. Seguirà un disegno di legge delega che richiederà un grande lavoro del Parlamento, ben oltre il recinto della maggioranza. Ma attenzione.

A cosa?
Qualsiasi riforma del Csm potrà rivelarsi inutile se non si impone una capacità di autorigenerazione della magistratura, una forte volontà di smantellare quel sistema.

Sul sistema elettorale, per esempio, il dibattito è aperto. Non crede che un maggioritario alla francese con doppio turno e numerosi collegi possa rafforzare i potentati locali? Un rischio paventato per esempio da Armando Spataro sulle pagine di Repubblica.
C’è chi sostiene in realtà il contrario. Ma stiamo discutendo. E la cosa importante è che tutti siamo mossi da un comune obiettivo: cercare il sistema elettorale che garantisca lo smantellamento delle pratiche correntizie. Spataro è comunque personalità da ascoltare sempre.

La distinzione della sezione disciplinare da quella delle nomine, invece, è un passo avanti?
E’ un aspetto importante. Noi del Pd pensiamo che uno degli obiettivi della riforma debba essere appunto separare chi fa sanzioni da chi fa promozioni. In realtà, stiamo ragionando anche su uno step successivo.

Di cosa si tratta?
Pensiamo che questa riforma del Csm debba camminare su un binario ordinario, senza cioè toccare la Costituzione. Ma stiamo anche valutando la possibilità di istituire un’alta Corte esterna al Csm, magari nominata dal presidente della Repubblica, con ruolo giudicante. Si tratta di una riforma di rango costituzionale che potrebbe viaggiare in parallelo a questa. Sul progetto del disciplinare esterno, comunque, faremo una consultazione preventiva con tutte le forze politiche.

Sul nodo porte girevoli politica- magistratura, però, è più difficile un punto di caduta soprattutto tra Pd ed M5s.
E’ una questione superata. Noi abbiamo semplicemente detto no alla prima ipotesi avanzata dal ministro Bonafede di esclusione dei parlamentari tra i laici del Csm. Andava contro i dettami costituzionali. La rescissione dei rapporti anomali tra politica e magistratura deve avvenire nel rispetto della Carta. I titoli richiesti da valutare restano l’iscrizione per 15 anni all’Ordine degli avvocati o una docenza in materia di diritto. Escludere i parlamentari, quindi, sarebbe stato discriminante. E delegittimante per il Parlamento che nella sua storia ha nominato in Csm laici  di grandissimo spessore e prestigio. Si potrebbe casomai ipotizzare un’esclusione dei membri di un governo in carica, ma non dei parlamentari che sono espressione della legittimità popolare. Ma noi proprio sulla questione porte girevoli avanziamo anche un’altra proposta.

Quale?

Un rafforzamento soprattutto in uscita e cioè l’impossibilità di esercitare la giurisdizione per tutte le magistrature, dopo aver ricoperto ruoli politici, passando ad altri ruoli dello Stato. Ma chiediamo pure criteri più stringenti per l’avanzamento di carriera dei magistrati proprio perché vorremmo che prevalesse il merito e si superasse quell’automatismo di valutazione che oggi è prevalente. Di qui l’idea di coinvolgere nel parere il presidente dell’Ufficio nel quale il magistrato esercita, ma anche di dare un ruolo maggiore all’avvocatura attraverso il Consiglio dell’Ordine del distretto in cui il togato opera. Senza dimenticare, infine, un intervento sull’annosa questione delle nomine a pacchetto.

Su questo fronte cosa si può fare?
Come Pd vorremmo che si mettesse in campo un criterio per cui se il plenum del Csm non riesce a nominare il capo di un ufficio nell’arco di un mese, la nomina passa direttamente all’ufficio di presidenza del Csm. Così si potrebbe evitare l’accumularsi di sedi vacanti utilizzabili poi per fare spartizioni. E’ chiaro che è un tema, comunque, da approfondire. Bisogna capire, infatti, come fare per evitare profili di incostituzionalità.

Al di là della riforma del Csm, comunque, la giustizia italiana da anni si trova in una sorta di lockdown. Come uscirne?
Dobbiamo farla finita con i troppi anni nei quali si sono scontrati due opposti estremismi, un populismo giustizialista e un garantismo finto, quasi “usa e getta”, per passare a due concetti chiave: giustizia giusta e garanzia dei diritti.

E nel concreto come si traducono?
Oltre a quella del Csm, occorre portare avanti la riforma del processo penale. La proposta approvata dal Cdm, che tra l’altro prevede un processo della durata di 5-6 anni, potrà ridimensionare e relativizzare anche la questione della prescrizione, che ha reso tossico il clima politico. Ma ci sono altre due architravi fondamentali e cioè la riforma del processo civile e quella dell’ordinamento penitenziario, puntando sul recupero di chi è detenuto. Investire in umanità e recupero, infatti, significa investire sulla sicurezza di tutti i cittadini. Si tratta di due riforme nate nella scorsa legislatura, con Orlando ministro.

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