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Politica
Lega e Pd, rischio processo dopo il voto. Per Conte fiducia a tempo

L’elmetto che indosseranno i partiti che sostengono il Governo Draghi all’indomani del voto di domenica e lunedì è già pronto. Tutti sapranno leggere i dati a proprio vantaggio e proclamarsi vincitori. Della serie: comunque vada, sarà un successo. Come non ricordare ad esempio la non vittoria proclamata da Pierluigi Bersani nel 2013. E poi c’è sempre l’alibi che quelle del 3 e 4 ottobre sono elezioni amministrative e che quindi nulla hanno a che fare con la salute delle rispettive formazioni politiche e con le scelte compiute. C’è chi magari griderà ai brogli e chi si barcamenerà parlando di “sostanziale tenuta”.

In realtà, la brace rimane accesa sotto la cenere dopo questi mesi in cui Lega, Forza Italia, Pd, Leu, M5s e Iv hanno coabitato sotto lo stesso tetto di Draghi. I “processi” ai leader si stanno già imbastendo. Non è difficile prefigurare ad esempio un Armageddon in casa Lega. Casomai, stupisce che si sia dato fuoco alle polveri in anticipo. In qualche modo, infatti, il leader Matteo Salvini è già finito sulla graticola. Galeotta la recente intervista a La Stampa del numero due di via Bellerio, Giancarlo Giorgetti. Dal Quirinale alle amministrative, nonostante poi abbia cercato di correggere il tiro, è emerso un vero e proprio controcanto al leader. Si può perciò ipotizzare, come confermano fonti parlamentari incrociate da Affaritaliani.it, che se l’esito del voto non dovesse arridere al segretario, “il congresso sarebbe inevitabile”. Almeno per un cambio di rotta. Nel corpaccione della Lega, infatti, si tende a escludere una defenestrazione di Salvini, “ma della sua linea sì”. Non rimane dunque che aspettare l'esito del voto. Una cosa è certa, però: un risultato deludente anche al Nord, storica roccaforte leghista, farebbe traballare non poco la poltrona di Salvini. Processo assicurato, inoltre, qualora si verificasse pure il sorpasso di Giorgia Meloni in città come Milano, Bologna e Torino. Per la Lega di lotta, contrapposta a quella di governo, incarnata da Giorgetti e dai governatori delle Regioni, i contraccolpi sarebbero forti.

Se Sparta piange, Atene non ride. Anche il Pd corre i suoi rischi con questa tornata elettorale. “Se il partito democratico perde Torino e Roma si apre tutta un’altra partita - racconta una fonte ben informata ad Affari –. Non solo, ma molto dipenderà pure da come, nelle città che andranno al ballottaggio, si comporteranno i Cinque stelle. E, viceversa, da cosa faranno i dem qualora al secondo turno arrivasse il Movimento”.  Insomma, in palio per il Nazareno c’è l’intero architrave del cantiere che Enrico Letta punta a costruire insieme a Giuseppe Conte in vista del 2023. Anche in casa dem, dunque, aleggia lo spauracchio di un congresso che, tra l’altro, già ai tempi della segreteria Zingaretti la corrente di Base riformista chiedeva. Una richiesta che al momento è più una voce di sottofondo, ma neanche tanto se proprio all’inizio di settembre il segretario Letta si è dovuto affrettare a mettere in chiaro che rimarrà in sella fino a marzo del 2023. “Un risultato poco lusinghiero alle amministrative, inoltre – ammettono con Affari – potrebbe accrescere pure l’insofferenza di una parte del partito verso il Governo Draghi”. Come nella Lega, infatti, nel Pd non sono tutti spassionatamente governisti. La sinistra dem scalpita non poco. Di qui il Bettini-pensiero che vedrebbe bene l’ex presidente della Bce al Quirinale proprio per andare ad elezioni anticipate e poter calare in mare aperto la scialuppa della santa alleanza Pd-M5s-Leu.

Chi non rischia nessun processo invece è Matteo Renzi. Non solo non ci sono congressi alle viste, ma Italia viva è stato il partito che più ha spinto e mosso le fila per far cadere il Governo Conte e portare Draghi a Palazzo Chigi. Forza Italia, poi, proprio sulla scia del profilo istituzionale che si è data aderendo a questo esecutivo, ha tutto da guadagnare da queste amministrative, a cominciare dalla sfida in Calabria.

E il Movimento cinque stelle? Qui il discorso si complica. “Nessuno metterebbe sotto processo Giuseppe Conte. Ha appena assunto la guida del Movimento e si è subito immerso in questa campagna elettorale, senza risparmiarsi”, racconta una fonte M5s ad Affari. “E poi c’è un altro dato da considerare: nella seppur breve storia del Movimento, i territori sono sempre stati un nostro punto debole. Non si possono pretendere miracoli da Conte”. Per ora i pentastellati, almeno all’apparenza, fanno quadrato intorno al leader. Anche se qualcuno si sbottona: “Beh, però se perdiamo Torino e Roma una riflessione va fatta eccome. Ciò che ci differenziava dagli altri partiti era anche saper ammettere le sconfitte perché questo aiuta a ripartire. Ricordate Beppe Grillo e il Maalox nel post Europee del 2014? Ecco, non si fanno processi, ma non si deve neppure nascondere la testa sotto la sabbia”.

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