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Palazzi & potere
"Certa politica italiana populista e incompetente ha ispirato il mio romanzo"

L’ultimo romanzo di Andrea De Carlo, (Il Teatro dei Sogni, La Nave di Teseo, 2020) scrittore tradotto in ventisei Paesi nel mondo, milioni di copie di vendute,  autentica icona pop della narrativa italiana, è una commedia umana ironica, pungente, un’analisi sociale grottesca e surreale dell’Italia che siamo diventati: senza merito, per nulla interessata alla cultura e che si arrabatta per ottenere uno scoop da portare nella tv del dolore, o per la conquista del potere locale e nazionale da parte di una classe dirigente politica inetta  che non ha competenze, mezzi e capacità per governare.

I protagonisti de Il Teatro dei Sogni sono quattro e ognuno di essi rappresenta un ambito professionale umano che ha perso forza e talento. Tuttavia, come scrive Strindberg, “Se la poesia è un sognare da svegli e ben più della realtà”, De Carlo sembra dirci che il sogno è più della realtà, perché è ancora in grado di trasformare noi stessi e la società in cui viviamo.

De Carlo, è Il suo ventunesimo romanzo, non si ferma mai?

Ci sono sempre storie da raccontare che poi riflettono il mondo di fuori, il romanzo come forma è inesauribile, la materia c’è.

Quali sono i temi principali del suo ultimo libro?

Ci sono tante storie diverse che si intrecciano in questo Teatro dei Sogni e intorno a questo teatro ritrovato, perché c’è un teatro fisico, che è quello che viene riportato alla luce, e poi c’è un teatro più esteso che è quello dei politici che cominciano ad affannarsi per cercare di metterci le mani sopra. C’è l’informazione: una giornalista d’assalto della televisione che applica a un programma di basso livello ma di grandi ascolti lo stesso tipo di incoscienza fisica che potrebbe avere se fosse una corrispondente di prima linea, la cosa che sognava da ragazza. Quando sognava di fare la giornalista si immaginava tra i proiettili, a fare corrispondenza dai fronti di guerra. Invece, applica questa incoscienza fisica nel buttarsi in questioni private che poi porta nel suo programma, lo alimenta con ogni genere di lotta familiare, incidente personale o collettivo. Il ritrovamento di un teatro antico scatena la sua brama di informazioni, di arrivare per prima e ci arriva per prima a scoprire di che cosa si tratta. Poi però, una volta che la notizia è divulgata, persone che normalmente non si occupano di cultura come il sindaco Bozzolato del Comune di Cosmarate di Sopra e di Sotto, vogliono utilizzare il ritrovamento per avere più consenso, così come l’assessora alla cultura di Suverso.

Che tipo di luoghi sono quelli di Cosmarate di Sopra e di Sotto e di Suverso in cui è ambientata la storia?

Sono luoghi immaginari ma ne rappresentano di veri. È facile riconoscere dei posti che assomigliano molto sia a Cosmarate che a Suverso. Sono i luoghi di quel Nord produttivo, molto benestante, una zona di Italia che è fortemente industrializzata, piena di attività. Con bellissimi centri storici e grande devastazione di territorio, per cui un Nord Italia che vive di queste contraddizioni. Ci sono tanti paradossi, tra cui partiti che non si occupano di cultura che invece vogliono mettere le mani su questo luogo ritrovato così prestigioso soltanto per il proprio tornaconto.  

Per i ‘’partiti’’, termine ormai ahinoi obsoleto, si è ispirato alla politica italiana odierna?

Non avevo voglia di fare una rappresentazione letterale, questi partiti riflettono i partiti populisti, certo.  Credo che si riesca a leggere in trasparenza cosa c’è dietro a questi due partiti che non si chiamano nemmeno ‘’partiti’’, quasi avessero paura della definizione partito. Uno si chiama Rivolgimento con una r di marchio registrato e l’altro si chiama L’Unione Nazionale che un tempo si chiamava l’Unione del Nord. In questi due si riconosce sicuramente il carattere che li ha ispirati. Riflettono il carattere populista che cerca di captare consensi con qualunque mezzo. Per esempio il Rivolgimento si è inventato il premio di gioventù che viene assegnato a chiunque abbia meno di trentacinque anni e prende dunque un assegno mensile, come se fosse un merito avere meno di trentacinque anni. Oppure la formula ‘’a posto così’’ che abbona gli ultimi quattro esami dell’università per gli studenti fuori corso e anche la discussione della tesi, già che ci siamo, cioè quando uno arriva a quella distanza per cui di solito molti si fermano e invece viene data la laurea. Questo potrebbe essere un suggerimento a chi vuole conquistare consensi a tutti i costi. Se uno cominciasse a fare una gara, sarebbe facile proporre delle cose e ottenere facilmente consenso, le conseguenze poi si pagano. Nel caso del mio romanzo avresti migliaia di gente laureata che non sa niente. Non dissimile dalla realtà. Il discorso sull’incompetenza al potere è uno dei temi del romanzo.

Oggi tutti vogliono pubblicare un libro. Lei ha fatto la gavetta nonostante abbia esordito giovane.  Che idea si è fatto al riguardo?

Quando ho iniziato ci volevano talento e lavoro. Quando pubblicai Treno di panna, quello che è stato letto da Italo Calvino e che lui trovò interessante, scrivevo già da dieci anni. Avevo cominciato al liceo, avevo scritto due romanzi mai pubblicati, perché non mi sembrava che meritassero pubblicazione, servivano però a me in un percorso di formazione. Infatti, l’unica risposta che riesco a dare a chi mi domanda cosa deve fare per pubblicare un libro è: imparare a scrivere e l’unico modo è leggere e scrivere, scrivere e scrivere ancora. Devi farlo molto, se ricerchi una voce che sia la tua voce e che non sia l’imitazione di una voce altrui. Troppa gente alimenta una vera industria di pubblicazioni a pagamento, vanity press, stampa di vanità, quelli che pur di avere un libro pubblicato se lo pagano da soli, trovano un finto editore. Quello che interessa a questi ‘’editori’’ è farsi pagare dagli autori e poi gli scaricano a casa qualche centinaio di copie che poi tutti scoprono di non sapere come piazzare, perché non hanno trecento amici. C’è molta incompetenza in giro. Un tempo gli editori pubblicavano anche pessimi libri, però almeno certe regole di base dovevano rispettarle, almeno un uso elementare della grammatica, una traccia di una trama, qualcosa che costituisse l’ossatura di un romanzo, uno doveva farsela venire in mente. Adesso c’è di tutto. Poi anche gli editori veri hanno cominciato a pubblicare cose di livello bassissimo e la conseguenza è che diventa una specie di contagio, di epidemia di roba di cattiva qualità.  Senza parlare di libri che vengono costruiti su personaggi che hanno comunque un pubblico, quindi attori, calciatori, cantanti, poi naturalmente c’è qualcuno che scrive per loro.

 

Quella attuale sembra un’Italia depredata di sogni. I sogni dove sono finiti, si domanda uno dei suoi personaggi. Io, invece, le domando: quanto sono pericolosi i sogni, che per loro natura alimentano aspettative sovente non esaudite. Abbiamo avuto generazioni passate, padri e predecessori hanno sognato molto, penso al ’68, alle ideologie che sono venute e morire a mancare, siamo figli 40enni di un no future, per dirla con il noto motto punk ‘’77, quanto è giusto e fa bene sognare oggi?

Senza sogni nessuno inventerebbe niente né per sé né per gli altri. Se non ci fosse stato qualcuno che avesse immaginato vivremmo ancora nelle caverne. Quasi sempre i sogni non sono realistici e sono certamente pericolosi perché possono essere fuori misura, folli, esacerbati. Il sogno non è necessariamente un bel sogno.

Alcune ideologie erano dei sogni poi anche mostruosi se uno pensa ai sogni del sistema fascista, nazista, al comunismo che ha dato vita all’Unione Sovietica. Erano sogni spaventosi ma erano pur sempre sogni. Però ci sono dei bei sogni, per esempio l’Italia unita, che poi è diventata realtà, ma per un sacco di tempo è stata un sogno, e lo stesso vale per l’Europa per gli Stati Uniti d’America. Tutto quello che è cambiato a livello sociale nel corso del tempo, anche nel ’68 c’erano sogni di libertà sociale, di uguaglianza fra i sessi, molti sogni non si sono realizzati, però l’importante è che ci siano e a livello personale forse ancora di più. Se uno smettesse di sognare sé stesso diverso da come è, cioè meglio, peggio, più folle, più avventuroso, in qualunque modo, se ci appiattissimo sulla realtà, è tutto quello che avremmo. Avremmo soltanto le cose come sono ora e se sono brutte resterebbero brutte per sempre senza sogni.

Hemingway diceva che si scriveva anche per una sorta di riscatto. Per quale motivo si scrive?

Il motivo per cui si scrive è lo stesso motivo per cui si legge. Ho cominciato, come credo comincino tutti gli scrittori, leggendo molto e quindi entrando nel mondo dei romanzi che è un mondo parallelo a quello della vita reale, attinge continuamente alla vita reale, temi, sentimenti, personaggi, tutto viene da lì non è che venga creato dal nulla. Però è un mondo nettamente separato da quello del reale e hai la libertà immensa di poter inventare delle cose. Scrivere è sognare, ma è un sogno a occhi aperti, non è un sogno in cui tu scrittore non hai controllo su quello che succede. Certo, ci sono anche tante manifestazioni inconsce mentre scrivi un romanzo, quindi di cose che non decidi razionalmente, però per lo più il sogno lo guidi. Ed è un modo di riflettere sulla vita, su certi percorsi, di esaminare certi rapporti, di capire come sei andato da qui a lì.  È un modo per capire gli altri. A me interessa molto scrivendo capire gli altri, non mi interessa riflettere su me stesso, anche se poi parti di me entrano in qualunque personaggio io affronti, perché crei uno stato di empatia, entri in risonanza anche col personaggio che è più distante da te. È un modo di vedere cosa succede nelle teste delle persone, nei loro cuori, come mai si comportano in certi modi ed è un esercizio mentale e anche emotivo molto intenso. Quindi scrivere e leggere sono due attività fortemente complementari, legatissime e che attivano dei processi molto simili. Scrivere è tutto questo e altre cose ancora.

 

 

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