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Palazzi & potere
La task force di Colao debutta alla grande ma finirà per essere ininfluente
Vittorio Colao (foto Lapresse)

Quando una persona fa una previsione, vorrebbe che essa si avverasse. Invece, prevedendo che la task force di Vittorio Colao finirà nell'inconcludenza (come tutte quelle che l'hanno preceduta) desidererei vivamente di sbagliarmi, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi.

Primo perché Colao è un manager di prima grandezza, che ha dimostrato di essere capace di gestire, con un costante sguardo d'assieme, imponenti e complesse multinazionali innovative, radicate in tutto il mondo. Colao quindi è una risorsa preziosa (e rara) per l'Italia intera. Una risorsa che sarebbe detestabile venisse sprecata.

Il danno, in quest'ultimo caso, non sarebbe solo per Colao (non si spreca chi è in grado di dare un incommensurabile impulso al Paese) ma anche per l'Italia stessa perché il suo eventuale fallimento diffonderebbe nel mondo che conta, e che, all'occorrenza, può investire in Italia o può finanziarla, la sensazione che l'Italia sia solo il Paese che irresponsabilmente descrive Saviano su tutti i media che contano nel mondo e pare non attendano altro per alimentare gli stereotipi duri a morire.

Secondo, perché l'Italia, attualmente guidata dall'inconcludenza e dal pressappochismo (basti vedere cosa sta facendo il governo in carica - ma anche i precedenti non scherzavano - nella confusa gestione della pandemia da Covid 19) l'Italia, dicevo, avrebbe bisogno di una guida sicura, chiara, coerente, stabile. Una guida cioè abituata a districarsi nei problemi e a risolverli, secondo percorsi preordinati e non a costruire labirinti normativi destinati a spegnere qualsiasi realizzazione concreta. Invece l'obiettivo per la macchina politico-burocratica delirante italiana non è risolvere i problemi ma finire sulla Gazzetta Ufficiale con testi sempre più lunghi e arzigogolati.

Un primo esempio di ciò che potrebbe fare la task force Colao viene dal rapporto (molto colaonnesco, chapeau!) che essa ha rassegnato al governo per aiutarlo organizzare l'uscita controllata e parziale dal blocco delle attività economiche. Questo documento è costituito da solo quattro pagine nelle quali sono esposti nove punti tematici per il primo approccio della fase 2, quella del «liberatevi (parzialmente) dalle catene» imposteci a causa del virus. Il tutto è completato da un semplice powerpoint che servirà di base per le decisioni che il governo dovrà prendere nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Già questo documento di esordio (quattro pagine anziché un fascicolo di varie e sconclusionate divagazioni) testimonia il radicale cambio di azione. Il problema però non è la partenza ma la conclusione del lavoro.

Di solito, chi, in Italia, viene incaricato di cambiare la macchina burocratica dello Stato, finisce male perché i grandi burocratici hanno gli strumenti per polverizzare chiunque voglia calpestare il loro orticello. Gli esempi sono molteplici. Uno degli ultimi è quello di Diego Piacentini, numero due mondiale di Amazon, nominato «commissario del governo per il digitale e l'innovazione» da Matteo Renzi, allora onnipotente primo ministro e anche, se non bastasse, segretario del Pd. La scelta era opportuna e intelligente, la disponibilità a pieno tempo di un manager di queste esperienza e valore sarebbe servita a migliorare l'asmatica macchina dello Stato che, come sua massima evoluzione tecnologica, si permette di chiedere ancora oggi ai cittadini stupefatti di usare i fax mentre i fax non ci sono più negli uffici e, nelle case, anche i bambini delle elementari lavorano con il web.

Rispetto alla precedenti esperienze di immissione nella p.a. di esperti provenienti dall'esterno, in questo caso, Piacentini era stato nominato da un premier giovane e che credeva nell'indispensabile operazione di rinnovamento della macchina dello Stato. Ciò nonostante, pur avendo fatto miracoli nei suoi solo due anni di attività, Piacentini venne infine, non espulso, avrebbe voluto dire che c'era stata almeno una battaglia, ma rilasciato come una pera matura che naturalmente cade per terra per fine del suo mandato. Finito il premier che lo aveva nominato si era esaurita anche la sua missione che invece avrebbe dovuto durare con pari se non crescente intensità.

Nel caso di Colao la situazione è peggiore. Nessun dubbio che la sua nomina sia stata strategica e opportuna. Sennonché essa non è stata voluta dal premier Conte bensì dal presidente Mattarella che, con la sua inaggirabile moral suasion, gliel'ha, in pratica, imposta. Come si è avuto, molte volte, modo di vedere, Conte non vuole essere circondato da collaboratori che gli possano dare ombra, soprattutto se sono preparati e volitivi (quest'ultimo è un dispensabile corollario della preparazione).

Da qui un'operazione sotterranea di demolizione. Una task force efficiente e destinata a operare rapidamente, dato che non c'è tempo da perdere, avrebbe dovuto essere formata da un massimo 4 o 5 persone, già affiatate e con precise specializzazioni, come del resto chiedeva anche la Confindustria che di gestione industriale un po' se ne intende.

La task force Colao invece è composta da 17 persone, che spesso non si erano mai incontrate prima e che, per di più, sono state selezionate con bilancino politico. Non solo, alcuni di questi commissari hanno specializzazioni stravaganti o addirittura improbabili. Senza contare, ad esempio, che fra questi 17 commissari non c'è nemmeno un esperto di turismo che pure è una delle principali componenti del pil italiano.

Nel recentissimo libro-inchiesta sui grand commis d'ètat scritto esemplarmente da Filippo Ceccarelli e pubblicato con il significativo titolo Invano – Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua si legge un episodio raccontato da uno dei mandarini che hanno in mano le chiavi dello Stato e che dice: «Se un politico ci chiede una cosa che non vogliamo fare, noi gli rispondiamo: “Non si può fare”. Se insiste, gli ripetiamo: “Non si può fare, le ripeto”. Se il politico non molla gli diciamo: “Beh, allora, ti distruggiamo”».

Ecco perché la task force di Colao avrà la vita dura. Il numero due mondiale di Amazon aveva a favore un premier potente e volitivo e contro i grandi mandarini della burocrazia statale. Colao, purtroppo, ha contro sia l'uno che gli altri.

Ovviamente, anche se è molto improbabile, mi auguro che Colao ce la faccia a prevalere contro le forze che lo contrastano. Se ce la facesse, sarebbe stata, la sua, un'impresa clamorosa. Non solo per le cose che avrà fatto ma soprattutto perché avrebbe dimostrato che lo Stato italiano può essere riformato, ammodernato e reso idoneo a rispondere a un paese complesso, moderno e quindi anche esigente.

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