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Politica
Pd, Bonaccini il "cavallo" di Renzi: la politica come una partita a scacchi

Congresso Pd, Bonaccini verso la segreteria 

E così Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia – Romagna, ha ufficializzato ieri la sua candidatura alla guida del Partito democratico. Lo ha fatto dopo che il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha ufficializzato contemporaneamente il suo passo indietro in quella che è già stata definita una “leopoldina”. Ha iniziato Nardella con una classica excusatio non petita, accusatio manifesta:

"Qui non ci sono renziani. I renziani senza Renzi non sono renziani. Poi ognuno ha preso la sua strada, noi siamo qui e ci battiamo perché cresca il Pd. È un fatto acquisito, del quale siamo tutti convinti e sul quale abbiamo costruito un progetto di classe dirigente di questa città. Sull'impegno all'interno del Pd noi siamo una squadra, c'è un capitano, che è Bonaccini, ognuno di noi metterà a disposizione il tempo che può per seguire il partito perché c'è una leadership collettiva e capacità di organizzare impegno e lavoro di ciascuno".

Al Teatro del Sale di Firenze c’era pure Simona Bonafè, ora coordinatrice della Toscana, una delle renziane della vecchia guardia. Il Nardella - pensiero è spiegato nella lunga conferenza stampa: “Il Pd va smontato e rimontato, credo che dobbiamo cambiare la classe dirigente. Non ce l’ho con nessuno, ma si deve fare”. Sono quindi tornati i “rottamatori” e cioè quel “populismo bianco” di ispirazione fanfaniana che permise all’allora sconosciuto Matteo Renzi, guarda caso anch’esso sindaco di Firenze, di andare al potere e che lo portò in poco tempo dall’Arno al Potomac, il fiume che scorre a Washington e dove il senatore toscano era di casa.

Che ci siano “renziani” nel Pd non è una illazione ma è una realtà e a poco servono i giochetti dialettici di Nardella per sostenere il contrario. La Quinta Colonna c’è sempre stata e pure Bonaccini è un “renziano” della prima ora. Insomma, si torna al passato con buona pace di papi e papesse nere. Renzi ammassa truppe, il Terzo Polo, ed è pronto al D – Day per “fare la festa”, l’ennesima volta dopo lo storico “tranquillo”, a Enrico Letta.

Nardella vuole portarsi dietro il solito “partito dei sindaci” che inventarono Francesco Rutelli e Walter Veltroni e già fa dei nomi: “Antonio Decaro di Bari, Stefano Lo Russo di Torino, Giorgio Gori (ndr: che però tira ancora calci) di Bergamo” e poi “ne verranno altri”. Naturalmente partirà il solito tour delle “cento città” anche questo di rutelliana memoria. La manovra a tenaglia è affascinante e sa molto di scacchi, un gioco che Renzi conosce bene e non per niente il suo libro si chiama “La mossa del cavallo”.

Infatti il Terzo Polo ha fatto proprio una mossa del cavallo. Il cavallo è un pezzo molto particolare perché ha la capacità di minacciare nello stesso momento sia il re avversario che un altro pezzo ed è quello proprio che sta facendo l’ex premier: ha mandato Calenda a parlare con la Meloni e contemporaneamente ha “mandato” l’amico Nardella dall’amico Bonaccini e tra amici, si sa, ci si intende.

Così Renzi qualcosa acchiappa di sicuro: o entra in maggioranza con la Meloni o torna nel Pd e se lo riprende portando in sovraprezzo il Terzo Polo col generale Calenda che finalmente riavrebbe il suo ministero, il suo “tesssoro”. Che l’ipotesi di un ritorno di Renzi non sia peregrina lo conferma il deputato Andrea Orlando che poche ore fa ha dichiarato: “Non lo so” se vincendo Bonaccini la segreteria è possibile che torni anche Matteo Renzi, “ma so che dovremmo guardare avanti e non tornare indietro”.

 

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