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Politica
Il Pd tra campo largo e sfida solitaria. Così il terzo polo cambia lo scenario
Renato Brunetta e Gianni Letta (Lapresse)

I Dem mollano Conte e sperano in un assist dei neocentristi

Il matrimonio tra Pd e M5S? Annullato perché mai consumato. Lo dice con chiarezza il senatore Dem Franco Mirabelli nella sua intervista ad affaritaliani.it, collocandosi nella scia della collega Monica Cirinnà, la quale a Radio Popolare ha parlato addirittura di “pietra tombale” nell’asse (peraltro teorico) tra il Nazareno e il Movimento. 

Certo, in politica nessuno sbarra mai le porte a doppia mandata, ma quando si parla di insistere sul progetto di “campo largo”, bisogna per forza guardare a interlocutori diversi. Già, ma quali? L’unica opzione possibile è quella di un accordo con i neocentristi, una galassia che tuttavia è ancora in fase di definizione e che quindi è decisamente difficile da decifrare. A maggior ragione, il quadro si è fatto nebuloso con l’uscita da Forza Italia dei ministri Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, la novità politica delle ultime ore, che modifica almeno in parte il quadro.

Nonostante la convivenza nel governo Draghi e gli auspici del postrenziano Andrea Marcucci, difficilmente il Pd può pensare ad un’alleanza con gli ex forzisti. Tuttavia i Dem sperano che l’eventuale nascita di un terzo polo serva a sottrarre al centrodestra almeno parte di quei voti che, secondo i sondaggi, oggi rappresenterebbero un gap incolmabile. Una flebile speranza che, qualora si concretizzasse, ridarebbe fiato al Pd, tra le cui fila serpeggia la forte tentazione di andare alle prossime elezioni da soli (o quasi, perché l’accordo con Luigi Di Maio pare ormai scritto) per fare una battaglia fortemente identitaria sui valori del centrosinistra, evidentemente in ombra nell’era del draghismo, e poi infine capitalizzare il ruolo di unico forte oppositore di Giorgia Meloni.

Una scelta che era già stata delineata da un’analisi di affaritaliani.it e che si basa anche sulla difficoltà di trovare una quadra con le posizioni di Matteo Renzi e Carlo Calenda, non sempre perfettamente in linea col Pd (per usare un eufemismo) e a loro volta tentati da una suggestione neocentrista che potrebbe collocarli nell’ambito ruolo di ago della bilancia.
 

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