Politica
Referendum, i moderati del Pd allo scoperto: solo due SI'. Schlein furiosa, fuori dalle liste i 'ribelli'. Cresce l'ipotesi scissione
Guerini & Co. non vogliono cancellare il Jobs Act di Renzi

Referendum, parte la resa dei conti nel Pd
Inizia lo scontro interno nel Partito Democratico sui referendum sul lavoro della Cgil dell'8-9 giugno, sostenuti con forza dalla segretaria Elly Schlein. In una lettera inviata a 'Repubblica', il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, la vicepresidente dell'Europarlamento Pina Picierno, l'europarlamentare Giorgio Gori, le deputate dem Marianna Madia e Lia Quartapelle, e il senatore Filippo Sensi - tutti big dell'ala riformista del Nazareno tranne Alessandro Alfieri che però fa anche parte della segreteria nazionale - escono allo scoperto e annunciano che voteranno a favore solo dei quesiti sulla cittadinanza e sugli appalti, astenendosi sugli altri quesiti che riguardano il Jobs act "misura introdotta 10 anni fa dal Partito Democratico che - sottolineano - oggi è lo stesso Pd, rispondendo alla sollecitazione della Cgil, sconfessa invitando a votare SI' ai quesiti" e che "rimane l'ultimo provvedimento organico sul lavoro approvato in Italia per armonizzare la nostra disciplina a quella degli altri Paesi Ue ispirato alle migliori esperienze giuslavoriste delle socialdemocrazie europee".
"Per restituire dignità al lavoro servirebbero invece le politiche attive previste dal Jobs act e non realizzate - sostengono i moderati del Pd -. Un grande investimento in formazione e aggiornamento dei profili professionali, un nuovo patto che tenga insieme innovazione, produttività, salari e una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese". "Servirebbe, come chiede il Pd, la legge sul salario minimo negata dalla destra, tutela della fascia più bassa delle retribuzioni - aggiungono -. Ciò che non serve invece è agitare un simulacro o fuori tempo con un dibattito che distrarrà l'attenzione dai veri problemi, oltre a creare divisioni in campo progressista sindacale (Cisl contraria, Uil per la libertà di voto). Per tutte queste ragioni l'8 e il 9 giugno andremo a votare non solo perché è un diritto-dovere costituzionale ma perché la partecipazione è al cuore della democrazia. Voteremo SI' al referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone, discriminate nei loro diritti, e al quesito sulle imprese appaltanti, in un Paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro". "Ma non voteremo gli altri tre quesiti perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti col passato", sottolineano.
Parole pesantissime. Macigni. Che stanno a indicare che in sostanza Elly Schlein, insieme a Giuseppe Conte e a Maurizio Landini, vuole cancellare la stessa storia recente del Pd ovvero quel Jobs Act introdotto quando al Nazareno e a Palazzo Chigi c'era Matteo Renzi, unico in grado di portare i Dem sopra il 40%. La segretaria del partito, appoggiata dalla responsabile Lavoro Maria Cecilia Guerra, voterà invece cinque SI' "convinti" e certamente questo scontro aperto con la minoranza avrà serie conseguenze. Affaritaliani.it ha scritto di una sorta di note-book, di agenda, sulla quale Schlein annota i nomi di chi non voterà cinque SI' l'8-9 giugno per poi additarli come colpevoli a urne chiuse quando, quasi sicuramente, il quorum non verrà raggiunto. E a quel punto, se davvero il Pd e il Centrosinistra dovessero vincerà oltre a Genova 4 a 1 le prossime elezioni regionali, la leader Dem andrà subito a primarie e congresso anticipati per la resa dei conti finale con la minoranza che invece vorrebbe segretario e candidato premier Paolo Gentiloni o Ernesto Maria Ruffini (molto vicino al Presidente Sergio Mattarella). Una volta vinto il congresso, difficile pensare a una sconfitta se davvero le Regionali fossero una batosta per il Centrodestra e Giorgia Meloni, Schlein escluderà chi non si è schierato apertamente per cinque SI' ai referendum sul lavoro dalle liste elettorali per le prossime elezioni politiche. Il tutto con l'incubo di una scissione della minoranza - da capire che cosa farà il presidente del Pd Stefano Bonaccini finora silente - verso il centro di Carlo Calenda. Forse - si chiedono molti esponenti Dem - la tanto vituperata rottamazione di Renzi, si sta forse riaffacciando nella testa di Schlein questa volta verso i riformisti, in un Pd mai in pace con la generazione che precede chi lo guida...
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