Sobrietà, la forza tranquilla del fare: ecco un manifesto per la politica che non si vergogna di essere seria - Affaritaliani.it

Politica

Ultimo aggiornamento: 14:09

Sobrietà, la forza tranquilla del fare: ecco un manifesto per la politica che non si vergogna di essere seria

Per un’Italia che lavora in silenzio, amministra con dignità e costruisce con responsabilità

di Raffaele Volpi

Il commento 

C’è un’Italia che non appare nei palinsesti televisivi, che non vive di slogan né di appartenenze gridate. È l’Italia che lavora, che costruisce, che amministra. Un’Italia sobria, che non confonde la compostezza con la rinuncia e che crede che la politica sia, prima di tutto, un dovere civile. In questa parola — sobrietà — c’è una parte profonda della nostra storia. Una storia che non si misura nei proclami, ma nei gesti quotidiani. È la storia di un’Italia ambrosiana, di una Lombardia che ha imparato a unire la disciplina del lavoro e la cura del bene comune, che ha conosciuto — senza mai dichiararlo — l’influenza calvinista della continuità, della misura, della serietà come forma di fede laica.

Una fede nella responsabilità, non nell’apparenza. Quella sobrietà, oggi, è la virtù più rivoluzionaria che abbiamo dimenticato. Perché in un’epoca in cui tutto deve essere visibile, essa sceglie di essere solida. In un tempo che misura il consenso in secondi, sceglie la durata. In una politica che cerca clamore, sceglie la continuità del lavoro silenzioso.

La sobrietà non è un’idea triste. È una forma di intensità. È l’energia di chi non ha bisogno di apparire per incidere, di chi non deve gridare per essere ascoltato. È la politica che torna mestiere, la parola che torna promessa mantenuta, il governo che torna amministrazione. E soprattutto, è la consapevolezza che ogni risorsa pubblica — come ogni fiducia privata — va custodita come fosse propria.

Da questa sobrietà nasce una chiamata alla responsabilitàNon soltanto per la classe dirigente, ma per ogni cittadino che ha a cuore il destino del proprio territorioResponsabilità di chi decide, di chi lavora, di chi insegna, di chi amministra. Perché una comunità non si tiene in piedi per decreto, ma per coscienza. E quella coscienza nasce da un modo di vivere che conosce il valore della misura, della competenza, della precisione.

È tempo che le nostre classi dirigenti — economiche, amministrative, civili — riscoprano questa grammatica della sobrietà. Che la politica torni a parlare con il tono della serietà, non con quello della propaganda. Che il potere torni a essere esercizio di servizio, non di vanitàSiamo stati una terra che, nelle epoche più difficili, ha saputo rialzarsi in silenzio, con ordine, con metodo. Abbiamo costruito cattedrali e ferrovie, imprese e ospedali, scuole e cittàNon per esibirci, ma per lasciare tracciaEcco la nostra lezione al tempo presentenon servono nuovi idoli, serve tornare affidabili. La sobrietà, in fondo, è la forma più alta di libertàLibertà dal bisogno di apparire, libertà dal rumore, libertà dalla dipendenza del consenso. È la libertà di essere responsabili.

Oggi più che mai, l’Italia ha bisogno di una nuova generazione di uomini e donne sobri: che sappiano pesare le parole, misurare le spese, rispettare il lavoro, onorare gli impegni. Che tornino a fare politica come si governa una casa: con ordine, dignità, e senso del dovere. Perché la sobrietà non è un ricordo del passato. È la sola idea di futuro che abbia ancora valore.