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Affari di Genio
Mio figlio non vuole studiare

Uno dei problemi più diffusi nelle famiglie italiane riguarda bambini e ragazzi che non hanno voglia di studiare e quindi di andare a scuola. Se c’è una cosa che riesce difficile ai genitori di oggi è infatti convincere i figli a impegnarsi nello studio. I racconti di molte mamme e molti papà parlano di figli sveglissimi, pronti ad apprendere con velocità e interesse mille cose, ma recalcitranti di fronte a compiti e insegnanti. La scuola, lo studio e i compiti a casa diventano spesso una fonte di stress, una lotta tra genitori e figli quando manca la voglia di studiare.

Il luogo comune più frequente è che si tratti di svogliatezza e che solo una maggiore dose di disciplina possa far ottenere risultati migliori.

Ma chiunque abbia provato questa via a un certo punto si è trovato davanti a un muro in confronto al quale quello di Berlino era poca cosa. 

Malumori, risposte ostili, ostracismo, minacce inutili, punizioni a vuoto, pianti e sceneggiate rischiano così di diventare la normalità, senza per questo migliorare minimamente la situazione. 

Per alcuni può diventare un vero incubo: paure, ansie e preoccupazioni legate allo studio; scarsa attenzione alle lezioni, senso di tristezza, rabbia, rifiuto più totale di andare a scuola o di stare al computer per la DAD, che può sfociare in malessere fisico (mancanza o eccesso di sonno, disequilibri alimentari, dipendenza dalla tecnologia…).

Anche il tentativo opposto di lasciare che le cose vadano per il loro corso, confidando che la scuola intervenga a correggere la situazione spesso è inutile. Del resto, per quanto un insegnante possa essere appassionato del proprio lavoro e motivato a dare il meglio di sé ai propri studenti, è comunque all’interno di una dinamica uno-a-tanti, con classi troppo numerose e sempre più disomogenee, che gli impedisce di poter intervenire in modo efficace su ogni singolo caso. 

Quello che ancora pochi sanno però è che in realtà la mancanza di voglia di studiare e più in generale le forme di “mal di scuola” ovvero quel malessere che manifestano i ragazzi rispetto alla scuola, non ha a che vedere né con la disciplina né con la voglia di studiare in sé. 

Come ricordavo in un mio precedente articolo di questa rubrica  Aiutiamo i nostri ragazzi a vincere il mal di scuola, diversi sono ormai gli studi scientifici che dimostrano come in realtà, il vero problema sta nelle difficoltà di apprendimento che incontrano i nostri ragazzi. 

Non parliamo solamente di disturbi di apprendimento veri e propri come la dislessia e la discalculia. Secondo quanto evidenziato dalle ricerche che il team Saper Capire ha condotto negli ultimi vent’anni al CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il più importante istituto di ricerca pubblico italiano, la maggior parte delle difficoltà di comprensione ed elaborazione deriva dal mancato esercizio dei cosiddetti “fondamentali dell’apprendimento”. Così come qualunque sportivo continua per tutta la sua carriera ad allenare i fondamentali, ogni studente dovrebbe sviluppare un proprio metodo di studio, basato sulla conoscenza del proprio stile di apprendimento.

Durante la nostra carriera come studenti non viene data attenzione al COME apprendere ciò che viene insegnato, quanto piuttosto al COSA deve essere appreso. 

Si dà quindi per scontato che, una volta spiegati i contenuti, i ragazzi siano automaticamente in grado di acquisirli, rielaborali, padroneggiarli memorizzandoli adeguatamente ed esporli. 

E si crede che, se un ragazzo ha delle lacune in una o più di queste fasi, l’unica soluzione sia quella di “insistere”: leggi di più, fai più schemi, fai i riassunti, ripeti ancora e ancora. 

Se il ragazzo si stanca, si demotiva, si sente inadeguato, il genitore stesso non sa cos’altro suggerire se non, appunto, insistere. 

E qui parte il micidiale braccio di ferro che porta i genitori a sbottare spazientiti e i ragazzi a chiudersi sempre più nel loro guscio. 

Roberta Altieri, psicologa e psicoterapeuta dice chiaramente: “Il processo di maturazione fisica e mentale richiede molte energie e si accentua anche la tendenza a sentirsi frustrati. È difficile accettare i propri limiti: i ragazzi non sono sicuri dei propri mezzi, temono di esporsi e quando sbagliano o non ottengono il risultato sperato spesso si spaventano, si demotivano e non sanno come superare questa fase”.

In altre parole, un giovane non studia volentieri quando questa esperienza è per lui in qualche modo fonte di dispiacere o di umiliazione personale.

Succede quando si sente “incapace” di studiare e non sa cosa fare per riuscire bene, oppure lo sa ma non ci riesce da solo; succede quando è insicuro e teme di fare brutta figura, quando non trova piacere in quello che fa e non si sente stimolato (escludendo le situazioni di disagio famigliare che possono aumentare ulteriormente la pressione).

L’esperienza mostra insomma che, quasi tutte le forme di malessere manifestate dai ragazzi rispetto alla scuola sono dovuti alla fatica di apprendere a causa della mancanza di un corretto metodo di apprendimento.

Proprio per questo Genio in 21 giorni, con la mission di far re-innamorare i ragazzi dello studio, ha siglato con il CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il più importante istituto di ricerca pubblico italiano, una collaborazione nel comune intento di rimettere il tema dell’apprendimento al centro dell’attenzione in Italia.

Dopo un primo contratto di formazione in cui il CNR ha trasferito all’intero team Genio in 21 Giorni il frutto di anni di ricerche del team Saper Capire, è stato siglato un secondo contratto di ricerca per testare strumenti innovativi capaci di migliorare le capacità di apprendimento. 

Tra gli obiettivi fondanti del CNR c’è quello di divulgare know-how scientifico in ogni campo del sapere umano e Genio net, con il corso Genio in 21 giorni e una serie di iniziative gratuite, contribuirà a questo nobile ideale portando a quante più persone possibile gli strumenti per costruire il proprio metodo di studio.

Massimo De Donno 
Ideatore del Metodo Genio in 21 Giorni

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