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Cronache
Giornalista indagato per telefonata a giudice. Caso archiviato: "Ora scuse"

“Se non avessi registrato la telefonata con il giudice forse la storia non sarebbe finita così bene”, spiega ai microfoni di Affaritaliani.it il giornalista Silvio Leoni, finito al centro di un incubo durato circa un anno e mezzo.

Nell’ottobre 2019 Silvio Leoni chiama il giudice della Corte d’Assise che sta giudicando l’ex terrorista dei Nar Gilberto Cavallini, per un capitolo aggiuntivo della Strage del 2 agosto di Bologna. Chiede se può fare delle domande. Gli interesserebbe sapere qualcosa di più sugli esami dei resti delle vittime. Anche il giudice si chiama Leoni, Michele. Ma è una coincidenza.

Il giudice non commenta nessun aspetto della vicenda. Una chiamata cordiale e innocua, finita in un nulla di fatto.

Ma il giornalista Leoni venne indagato dalla Procura di Ancona per minacce aggravate e accesso abusivo a sistema informatico e gli venne sequestrato il cellulare. Reati gravissimi tanto più perché come vittima c’era un giudice.

Un mese prima della telefonata il giudice aveva trovato rotto lo specchietto retrovisore dell’auto. Era stato aperto un procedimento ad Ancona, distretto che si occupa di eventuali reati riguardanti magistrati di Bologna.

A quel punto interviene il tribunale del Riesame che sostiene “non può neanche parlarsi del fumus dei reati ipotizzati”. Il cellulare torna al giornalista, tutti si aspettano il lieto fine e la comprensione dell’equivoco. Ma all’inizio di giugno dell’anno scorso il pm Irene Bilotta chiede una proroga di indagini aggiungendo ai reati ipotizzati in prima istanza anche violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, molestie e violazione della privacy.

Il 26 marzo scorso la vicenda è stata archiviata dal Gip del tribunale di Ancona, dopo richiesta di archiviazione della pm, e il relativo fascicolo è stato restituito alla Procura della Repubblica della città marchigiana.

“Mi auguro che questa archiviazione”, ha detto l'avvocato Paolo Palleschi che assiste Leoni insieme al legale Valerio Cutonilli, “abbia il giusto peso sugli organi di informazione. Un giornalista è finito sotto inchiesta per aver provato ad avere un'intervista su un tema cui ha lavorato per decenni, accusato di hackeraggio per avere acquisito furtivamente il numero di telefono di un giudice”.

“Se non avessi registrato la telefonata con il giudice”, spiega Leoni ad Affaritaliani.it “che poi abbiamo depositato agli atti, forse la storia non sarebbe finita così bene. Per questo ho chiesto le scuse... che non sono arrivate”.

Una vicenda non innocua.

“Abbiamo seguito con attenzione la vicenda Leoni”, ha dichiarato all'Adnkronos il presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, “con rispetto nei confronti della magistratura e alla fine per fortuna si è concluso tutto con un'archiviazione. Alla soddisfazione per la conclusione e alla fiducia nella giustizia, viene accompagnata la perplessità, perché certe vicende non dovrebbero proprio cominciare... ci sono voluti due anni per chiarire le cose in questo caso, con la macchina che ha messo sotto pressione il collega. Ci devono essere le querele, certamente, se ledono veramente una persona e se non si rispecchia la verità. Ma che non siano temerarie. In questi casi non viene colpito solo il giornalista, ma il diritto di sapere. Chi ripaga delle sofferenze subite un cronista ingiustamente accusato?". E’ stato annunciato che, il 3 maggio prossimo, il presidente Verna parlerà del caso Leoni all’inaugurazione della “panchina della libertà di stampa” in occasione del Master di giornalismo dell’Università di Bologna.

Il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone ha chiesto l’intervento del ministro della Giustizia Marta Cartabia: “Lanciamo un appello al ministro affinché sia tutelato il diritto di cronaca e il magistrato ne risponda. Esiste un risvolto inquietante: Leoni stava indagando sulla ottantaseiesima vittima, pista ignorata e derisa dai magistrati con la sentenza Cavallini che, di fatto, in realtà, certifica l'esistenza di 'Ignota 86'. Presenteremo un question time sulla vicenda e chiederemo l'invio di ispettori del Ministero della Giustizia a Bologna. Bene ha fatto il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Verna a chiede la tutela del diritto di 'sapere', cruciale in una democrazia”.

“Ignota 86” è il lembo facciale, riesumato dalla bara di una vittima aggiuntiva alle 85 riconosciute della strage e che si ipotizza possa appartenere all’attentatrice e/o la trasportatrice della bomba che poi ha provocato la strage. Un caso, quello di “Ignota 86” sollevato nel libro "I segreti di Bologna" a cura del giudice Rosario Priore e dell'avvocato Valerio Cutonilli e su cui ha posto l’attenzione anche il giornalista Massimiliano Mazzanti.

L’Associazione Stampa Romana, che oggi si rallegra dell’esito dell’archiviazione di Leoni, parlando di “vicenda surreale”, aveva così commentato il caso quando era esploso: “Ogni giornalista sa quanto siano importanti i presidi e le tutele di legge a garanzia della segretezza delle fonti e degli strumenti di lavoro, tutele che discendono dal ruolo costituzionale insito nell’articolo 21 della Costituzione. Sequestrare un cellulare, controllare i contatti presenti viola questi elementari principi e rappresenta un grave vulnus dello stato di diritto. È quanto accaduto a Silvio Leoni collega del Secolo d’Italia... La strage di Bologna resta un nervo scoperto della nostra storia ma questo non giustifica provvedimenti abnormi della magistratura non basati su fatti”.

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