Capuana e Verga: i loro scatti veristi in mostra a Milano
Gli scatti veristi di Capuana e Verga in mostra a Milano
Organizzata da diverse istituzioni culturali (Fondazione 3 M, Associazione Biblioteca Famiglia Meneghina, Fondazione Casa Museo Capuana di Mineo, Fondazione Verga di Catania e Università di Milano), è in corso a Milano presso Palazzo Sormani una mostra fotografica che resterà aperta fino al 5 gennaio 2018. La raccolta, intitolata «Scritture di luce. Letteratura e fotografia nella Sicilia di ieri e di oggi nella visione fotografica di Capuana, Verga e Argentiero», è pubblicata anche in un volume che reca il medesimo titolo e comprende la prefazione di Roberto Mutti, Michele Di Dio, Gandolfo Cascio con testi di Silvana Grasso (Archivio Fotografico Italiano, Milano 2017, pp. 160).
Oggetto della mostra è la ricca raccolta di foto scattate da Giovanna Verga e da Luigi Capuana, alle quali si aggiungono quelle di Claudio Argentiero. Nella veste insolita di fotografi, Verga e Capuana fissano in immagini interessanti quanto suggestive la realtà siciliana tra la fine del XIX secolo e quello successivo. Le foto sono arricchite da lettere autografe, pagine manoscritte e copertine delle opere dei due celebri scrittori. Il loro interesse verso la fotografia, particolarmente viva negli ambienti letterari, assume una verve originale nella corrente «verista», diretta a raccontare le forti e contrastanti passioni umane del cosiddetto «mondo dei vinti». L’attenzione verso il mondo del lavoro non si traduce in impegno sociale, ma assume tratti vigorosi di realismo per l’aderenza della letteratura alla vita contadina. La questione bracciantile, particolarmente grave nella seconda metà del XIX secolo, è documentata più dalle foto che dalla produzione letteraria.
Come sottolinea Alfiuccia Musumeci nella presentazione del volume, il binomio fotografia/memoria rinvia ad un viaggio guidato lungo le varie stazioni letterarie e alla scoperta della Sicilia con le sue caratteristiche peculiari di un’Isola aspra ed ospitale, severa e accogliente. Gli archivi fotografici di Capuana e di Verga sono una fonte emblematica per conoscere la Sicilia, rappresentata come metafora delle vicissitudini umane. Dalle foto dei due celebri scrittori emerge una forte «sicilianità», che contribuisce a dare notorietà al «verismo» e alla fissazione di una cultura letteraria più stimolante.
L’archivio di Verga, composto anche da lastre e negativi, è scoperto negli anni Settanta da Giovanni Garra Agosta, fine studioso di letteratura e profondo conoscitore della sua opera letteraria. La passione di Verga per la fotografia è alimentata nel romanziere catanese dal suo conterraneo Luigi Capuana, che – come conoscitore di diverse tecniche di sviluppo e di stampa – coltiva l’esercizio del paesaggio agreste di Mineo e del ritratto dei suoi abitanti, in prevalenza composti da contadini abbruttiti dalla fatica e anneriti dal sole.
Il fondo fotografico di Luigi Capuana si trova conservato nella cittadina di Mineo dove nasce il 28 maggio 1839 e matura quella passione, che si traduce nella stampa di alcune cartoline con vedute paesaggistiche in stereoscopia: una passione che attrae anche Giovanni Verga e Federico De Roberto, entrambi sodali e sensibili all’estetica e all’arte di von Gloeden. Il soggiorno a Firenze e la collaborazione al quotidiano «La Nazione» come critico teatrale ampliano gli interessi dello scrittore siciliano, che – oltre agli esperimenti di fotografia – nutre una particolare predilezione verso lo spiritismo e i disegni a penna e a matita. Nell’arte fotografica Capuana raggiunge alti livelli di qualità che gli attestano l’elogio di molti letterati coevi per la tecnica e la riproduzione. Un aspetto che è rilevato anche da Michele Di Dio, che sottolinea come parte rilevante del suo stipendio sia usato per l’acquisto di moderni apparecchi e per la costruzione di bagni per lo sviluppo delle foto.
Per Claudio Argentiero il paesaggio siciliano offre spunti innovativi nel ritrarre la piana di Catania e il territorio che comprende i filari dei vigneti di Mazzarone, le campagne di Bronte e di altri paesi come Mineo o Vizzini. La foto assurge così a un insieme di segni utili a confermare il presente a riconoscere il passato. Il suo viaggio fotografico riprende idealmente un dialogo in bianco e nero con una rilettura dei romanzi di Silvana Grasso, considerati forzatamente degni di inserirsi nella tradizione letteraria inaugurata dal verismo. Eppure la scrittrice siciliana riferisce un’esperienza fotografica nel suo romanzo «Pazza è la luna» (2007), là dove parla del picciotto «dai denti bianchi come perle», che mostra le «fotografie a colori» alla signorina Agatina; oppure nell’altro «Incantesimo della buffa» (2011) dove le foto del matrimonio rappresentano ricordi indelebili. Altri riferimenti si ritrovano nella descrizione di certe arcaiche abitudini e nel loro conflitto con la modernità, il cui richiamo si incrocia con esperienze personali e si nutre di forti passioni umane.