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Culture
Impressionisti, alle origini della modernità: la mostra al MaGa di Gallarate
Henry Somm - La lettre, 1890

Nel 1962 Thomas Kuhn pubblicò La struttura delle rivoluzioni scientifiche, un libro che segnò un nuovo modo di vedere la scienza, e tutte le attività del pensiero umano.

Kuhn sostenne che la scienza procede di norma per piccoli progressi, poiché gli scienziati svolgono le loro ricerche nell’ambito di un certo insieme di idee e di metodi dominanti, che denominò “paradigma”. La rivoluzione scientifica, e in genere ogni vero progresso della dottrina, dell’arte e del modo di vivere dell’uomo, si ha quando il paradigma prevalente viene messo in discussione e scardinato. E se ne costituisce uno nuovo.

Il “cambio di paradigma” tra la pittura classica e quella moderna avvenne attorno alla metà dell’Ottocento ed ebbe come suo fulcro Parigi, la città che da un secolo, da Watteau e Boucher, Fragonard e David, era la capitale mondiale dell’arte. La scossa iniziale alla nuova pittura era venuta da Courbet e Corot, poi tutti si sono aperti alle nuove prospettive, alla novità sconcertante proposta del movimento impressionista.

All’idea che l’opera d’arte non potesse più essere pura mimesi della realtà, ingaggiando una strenua quanto inutile sfida con la fotografia, ma il riverbero dell’emozione interiore dell’artista, tradotta in vibrazioni di luce e colore.

Firmin Girard   Orival, prairie et villas, 1880Firmin-Girard - Orival, prairie et villas, 1880
 

Il cammino era segnato dal rapporto con la natura. Bisognava lasciarla parlare, farsi commuovere dalla sua forza comunicativa, registrarne direttamente la verità istantanea e la magia poetica, abbandonando il chiuso degli atelier e sperimentando la pittura en plein air, all’aria aperta, in qualsiasi stagione e condizione atmosferica.

I due fronti erano schierati. Da un lato i selezionatori delle esposizioni periodiche di opere contemporanee denominate, fin dal 1667, Salon, che prediligevano le tendenze accademiche, che si rifacevano alla gerarchia dei generi – al primo posto le raffigurazioni storiche, religiose e mitologiche, poi venivano i ritratti, poi le scene di genere, infine le nature morte – tipica del secolo dei lumi.

Dall’altra tutti i giovani talenti la cui opposizione culminò nel 1863 con il polemico Salon des réfusés, che presentava lo scandaloso Déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet, punto di svolta e di nascita “ufficiale” della corrente che solo 11 anni più tardi sarebbe diventata impressionista: “qualche impressione mi aveva colpito… una carta da parati al suo stato embrionale è più rifinita di questa marina!”, scrisse il critico Louis Leroy di Impression. Soleil levant, il capolavoro di Monet. E loro issarono l’insulto a bandiera.

Al Ma*Ga di Gallarate, vicino Varese, si può vivere questo clima di mutamento in maniera chiara lungo il percorso di una mostra importante, nonostante i rari capolavori, titolata Impressionisti. Alle origini della modernità. Importante soprattutto perché, come dice la direttrice del museo e co-curatrice dell’esposizione Emma Zanella ad Affaritaliani.it: “una delle particolarità del percorso è di affondare l’attenzione anche sugli aspetti poco conosciuti, a cominciare dall’incisione. Diverse sale sono sostenute soprattutto da incisioni, acqueforti, héliogravure, cliché-verre, tecniche molto amate dagli impressionisti e poco conosciute dal grande pubblico. E parimenti anche dalle arti decorative, che, considerate minori, in realtà contribuivano alla vita reale e alla modernità della Parigi della seconda metà dell’800”.

Armand Guillaumin   Paysage d'Ile de France, 1885Armand Guillaumin - Paysage d'Ile-de-France, 1885
 

Per la pressoché totalità, le oltre 180 opere esposte provengono da collezioni private – quindi sono di rara visibiilità – e creano un percorso per sezioni a tema, che ci permettono di focalizzare come innanzitutto il movimento non fosse circoscritto solo ai soliti 10 nomi noti (pure peraltro presenti: Manet, Cézanne, Degas, Monet, Morisot, Renoir, Toulouse-Lautrec e gli altri), bensì avesse personalità di rilievo meno note, come Armand Guillaumin, Emile Bernard, Stanislas Lépine, Victor Vignon e anche l’americano Frank Myers Boggs, di cui è proposto il suggestivo Pont St. Michel – Pont St. Nicolas, e lo scultore Renzo Colombo, nato proprio a Gallarate e morto in Francia non ancora trentenne.

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