Culture
La passione di Van Gogh, il commento
















di Raffaello Carabini
Quella di Vincent Van Gogh è la volontà di afferrare la realtà, non contemplandola per conoscerla ma affrontandola dal di dentro come un limite che fa soffrire. E il desiderio continuo di forzare questo limite diventa in lui quella "passione della vita", talmente ossessiva che inevitabilmente porta alla morte. È questa la chiave che gli permette di superare l'edonismo impressionista verso un pre-espressionismo di matrice quasi romantica, usando il colore come esaltazione per esprimere stati d'animo sempre in tensione e la natura come loro riflesso emotivo. Una vita artistica sempre in bilico, giocata sul filo di un'accentuata solitudine e di una ricerca che fuse insieme rischio e musica. Lo scriveva, indicandoselo come meta: "Se osassi lasciarmi andare a rischiare ancora di più a uscire dalla realtà e a fare con il colore come una musica di toni…".
Allevato in una canonica rurale da un pastore e da sua moglie, ama nella sua immutabilità, nella sua conformità alla natura, l'universo contadino, cui lega gli stentati esordi pittorici e cui sarà fedele tutta la vita, fino al suicidio nell'estate del 1890: si spara un colpo di pistola in pieno petto dentro un lussureggiante campo di grano e poi trascorre un'intera giornata a letto fumando la pipa. Dopo un inizio come venditore di stampe e un avvio di studi in teologia - la sua dedizione quasi fanatica ad assistere i minatori e i poveri, pur vivendo in assoluta indigenza, allarmò la Scuola di Evangelizzazione che frequentava, tanto da farlo mettere alla porta - decide di dedicarsi prima al disegno e poi alla pittura su incitamento del fratello Theo, che, mercante d'arte in via di affermazione, inizia a mantenerlo. Cosa che farà più o meno per tutta la breve vita di Vincent, conclusasi a 37 anni (un passaggio drammatico per i geni della pittura: Raffaello, Watteau, Toulouse-Lautrec, Parmigianino, morirono a quell'età) e punteggiata da ripetuti soggiorni in case di cura per malati di mente.
La sua crisi più conosciuta pose fine alla difficile convivenza con Paul Gauguin ad Arles. I due avevano avuto un'accesa discussione dopo una visita al museo di Montpellier, tanto che, tornati a casa, Van Gogh brandisce un rasoio in faccia all'amico, il quale, spaventato, va a dormire in albergo. Rimasto solo rivolge la lama contro se stesso, si taglia parte del lobo dell'orecchio sinistro, ne fa un piccolo cartoccio e lo porta a Rachel, la prostituta preferita della locale casa di tolleranza, dove i due pittori si recavano regolarmente ogni quindici giorni. "Conserva questo oggetto con cura", le dice e sparisce.
La mattina seguente la polizia, avvisata dalla ragazza, lo trova abbandonato nel suo letto come in fin di vita e lo porta in ospedale, dove presto accorre Theo, avvisato nel frattempo da Gauguin, ignaro e definitivamente allontanatosi. Forse pensando le parole immaginate per lui da Roberto Vecchioni: "Dolce amico mio, fragile compagno mio, che hai tentato sotto le tue dita di fermarla, la vita. Come una donna amata alla follia la vita andava via e più la rincorrevi e più la dipingevi a colpi rossi per tenerla stretta, gialli come dire "aspetta!", fino a che i colori non bastaron più…"