Culture
La felicità? Nascosta in una sedia. Il film-testamento di Mazzacurati

di Lorenzo Lamperti
@LorenzoLamperti
Alcuni film possiedono una leggerezza che ad altri film è invece sconosciuta. Una leggerezza che regala un tono un po' divertente, un po' fiabesco a tutta la vicenda che si mette in scena. È capitato spesso di percepire questa leggerezza davanti a un film di Carlo Mazzacurati. E capita di nuovo con La sedia della felicità, ultimo film realizzato dal regista padovano. Non è un'opera perfetta, ma è una storia lieve e piena di sorrisi. Mazzacurati, che già in passato aveva dimostrato di saper raccontare col sorriso sulle labbra, ci lascia una favola moderna che diverte e, a tratti, riempie di malinconica gioia.
La storia comincia a Jesolo. I protagonisti sono Bruna e Dino, che lavorano e si arrangiano come possono in mezzo a mille difficoltà. Le vetrine dei rispettivi negozi sono una di fronte all'altra. Bruna, interpretata da una bella e frizzante Isabella Ragonese, è un'estetista in difficoltà con il pagamento dei macchinari. Per arrotondare va a fare la manicure in carcere a una ricca ereditiera (Katia Ricciarelli) che ce l'ha a morte con gli immigrati. In punto di morte la donna le rivela che dentro una delle sedie della sua villa in disuso ha nascosto un tesoro. Bruna si lancia alla ricerca del fantomatico tesoro e coinvolge nella sua impresa anche Dino (Valerio Mastandrea), un tatuatore che se la passa male economicamente e che dopo il divorzio dalla sua ex moglie è costretto a vivere all'interno del suo negozio. I due scoprono che le sedie sono state vendute all'asta e partono alla caccia dei loro nuovi proprietari. Ma insieme a loro c'è anche una terza persona che conosce il segreto: è un prete col vizietto del videpoker, interpretato da Giuseppe Battiston.
Il film si snoda attraverso tutto il Veneto. Dal tribunale di Venezia al cimitero di Verona, dal centro di Padova ai colli fino alle cime nevose. Mazzacurati racconta con amore la terra che fisicamente e umanamente conosce meglio. Lo fa mettendo insieme toni un po' grotteschi e un po' lirici, raccontando quella terra attraverso gli occhi di due outsider, nessuno dei due veneto, che partono alla scoperta di un mondo che talvolta sembra essersi fermato. Bruna e Dino sono costantemente messi di fronte all'altro, allo straniero, vero o metaforico che sia. Non importa che si tratti di un'archivista del tribunale, una cameriera cinese, un mago ciarlatano, un fiorista indiano o due pastori veneti. Bruna e Dino sono messi di fronte a un mondo che non conoscono. Un mondo frammentato eppure così coeso e, alla fin fine, buono. Il maggiore pregio del film è quello che riesce a raccontare un tema drammatico come la crisi attraverso il sorriso. Mazzacurati tratta con amore i suoi due protagonisti, due perdenti che fanno fatica a tirare avanti in un'Italia sempre più disperata. Ma è un'Italia che ha anche voglia di ripartire. Un'Italia che vuole il riscatto. E lo fa senza enfasi o eccessivo sentimentalismo. Il passato dei protagonisti lo si intuisce ma non ci viene presentato in maniera didascalica. La stessa storia d'amore tra i due protagonisti è soffusa, mai invasiva. Prima di morire Mazzacurati ci ha lasciato un tesoro. E allora avanti, tutti pronti alla ricerca della sedia. O meglio, della felicità.