Caselli ad Affari: "No a un rialzo improvviso dei tassi o sarà recessione" - Affaritaliani.it

Economia

Caselli ad Affari: "No a un rialzo improvviso dei tassi o sarà recessione"

di Marco Scotti

Il prorettore dell’Università Bocconi: “Le sanzioni funzionano, ma hanno bisogno di tempo per diventare operative"

Caselli: la Lagarde deve stare attenta con il rialzo dei tassi

“Kiev dista da Trieste poco più di Palermo. L’Europa ha la guerra entro i suoi confini, non possiamo fare finta di niente”. Stefano Caselli, prorettore della Bocconi, spiega ad Affaritaliani.it quali sono le dinamiche in gioco nella partita più difficile che il continente unito abbia mai dovuto disputare nel Dopoguerra. Prima di tutto, per il meccanismo sanzionatorio, poi perché la condizione economica era già complessa prima dell’inizio del conflitto. Infine perché l’inflazione sta complicando ulteriormente i piani

Professor Caselli, adesso sono le aziende a dettare l’agenda economica e non più gli Stati?

Il momento è complesso perché abbiamo diversi piani. Il primo è quello della politica, che ha avviato un percorso di sanzioni che secondo me è ragionevole e che ha l’obiettivo di depotenziare l’economia russa in modo da costringere Mosca a sedersi attorno a un tavolo con profonda convinzione. 

Però c’è che chi dice che le sanzioni non stanno funzionando…

Non è vero, o almeno non del tutto. Viviamo in un’economia globale, per cui o tutto il mondo dispone delle restrizioni, oppure saranno sempre sanzioni zoppe. Ci sono Paesi che continuano a lavorare con la Russia e a permettere la circolazione della moneta. Penso alla Cina, ma anche alla Turchia, che pure fa parte della Nato.

Allora perché l’Europa ha accusato l’Eni di comportamenti sanzionabili?

È una stortura. È ovvio che si mantengano aperti dei canali, diplomatici o economici, come nel caso di Gazprom Bank. Non si può pensare di fare a meno del gas russo dall’oggi al domani. Ma questo non significa che le sanzioni non stiano funzionando, tant’è che la Russia è in difficoltà e gli scaffali iniziano a essere vuoti. 

Ma le sanzioni non stanno penalizzando anche le imprese?

Per l’Europa il tema non sono le sanzioni, ma una guerra ai confini. Affronteremo mesi molto difficili, mentre gli Usa non hanno questo problema, sono a migliaia di km dalle zone del conflitto. Dunque, ovviamente c’è un rischio che coinvolge i consumi, perché non c’è un clima generale particolarmente ottimista. Però c’è anche una pandemia che continua a fare centinaia di morti al giorno. Ci sono le conseguenze sull’energia, che è aumentata e sarebbe successo ugualmente anche senza la guerra. E c’è una logistica da ricostruire. Quindi le sanzioni non sono certo la causa di questa situazione. Siamo in bilico, dunque. 

E l’inflazione?

L’inflazione non è passeggera, perché è di scarsità di materie prime, non di eccesso di offerta. Ci vuole la sfera di cristallo per capire che cosa succederà nei prossimi mesi, ma se dovessi scommettere immagino che avremo tassi di crescita dei prezzi analoghi anche nel 2023. 

Ci salverà la Bce o si è mossa in ritardo?

Dobbiamo augurarci che la Banca Centrale Europea tenga i nervi saldi. Il vero pericolo è che l’inflazione si sposti sui tassi d’interesse e sullo spread. E se questo dovesse avvenire sarebbe un colpo durissimo che si tradurrebbe in una forte recessione.

La Bce ha gli strumenti giusti? Doveva intervenire prima?

Se si fosse intervenuti sui tassi si darebbe dato il colpo di grazia all’economia. Ora serve che l’Eurotower impari a comunicare che l’inflazione è di scarsità, che in caso di stress sull’economia tornerebbe a comprare titoli di debito pubblico, che c’è un Recovery Plan approvato che darà risorse ai Paesi. 

Servirebbe un Draghi, insomma, con il suo bazooka e il "Whatever it takes"!

L'ha detto lei, ma non posso smentire...

Chi potrebbe beneficiare dell’aumento dei tassi, invece, sono le banche.

Questo è chiaro. Ma è anche vero che aumenterebbero le tensioni sui crediti, con un incremento delle sofferenze. 

Uno scenario che potrebbe agevolare il risiko? Frenarlo? O le due cose non sono legate?

Credo che il consolidamento del settore bancario sia un processo già in atto che non deve guardare al rialzo dei tassi. È un trend che andrà avanti a prescindere. Serve però la creazione di qualche campione europeo più grande, capace di competere sui mercati globali. Ma serve che siano i governi a parlare, come nel caso della possibile fusione Unicredit-Commerzbank.

In Italia è molto attivo Crédit Agricole. Lei era membro del board di Creval all’epoca dell’opa: che cosa pensa dell’operazione per l’acquisto delle quote del Banco Bpm?

Si tratta di uno scenario molto diverso. Il Creval era una banca che usciva da un percorso di difficoltà. Crédit Agricole è un’ottima banca, che sta crescendo in tutto il territorio con rispetto, mantenendo i livelli occupazionali. Impossibile sapere come agirà con Banco Bpm, ma mi sento di dire che non si fermerà solo a una partecipazione seppur rilevante.

Pensa che qualcuno nelle istituzioni potrebbe storcere il naso?

Lo escludo. Intanto perché Crédit Agricole Italia è a tutti gli effetti un'azienda italiana. E poi perché l'istituto di credito si è mosso con grande attenzione sul territorio.

 

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