Economia
L'Italia non è quella del Governo. Edilizia, tessile e alimentare ko
Viva, viva la ripresa, che felici tutti fa! Ma con un debito pubblico che sfiora il 133% del Pil e non scenderà sotto il 120% dello stesso prima del 2019, come certificato dalla nota di aggiornamento del Def licenziata dal Consiglio dei ministri lo scorso settembre, non c’è da essere troppo entusiasti di veder crescere il Pil medesimo tra un punto e un punto e mezzo percentuale quest’anno e il prossimo, tasso che resta tra i più modesti dell’intera area Ocse. Anche perché restiamo in presenza di un’inflazione per ora ben al di sotto dell’1% e che nel 2016 è attesa attorno all’1% per il venir meno dell’effetto “ribassista” dei prezzi dei prodotti petroliferi.
Questo significa che il Pil nominale, quello sulla cui base si calcolano i rapporti deficit/Pil e debito/Pil, crescerà nel complesso meno del 2% quest’anno e tra il 2% e il 3% l’anno venturo, a seconda che abbia o meno successo la strategia della Bce di Mario Draghi per combattere i nuovamente crescenti rischi di deflazione, contro un costo del debito pubblico destinato a rimanere sopra il 4% annuo sino al 2019, secondo il governo.
Per chi non avesse immediata dimestichezza con cifre e meccanismi di finanza pubblica, significa che la ripresina in corso è sostanzialmente finanziata a deficit che andrebbe ridotto da tagli alla spesa che però non si vedono, come parallelamente non si vede alcuna riduzione netta del peso fiscale (le entrate fiscali continuano infatti ad aumentare più rapidamente del Pil, come conferma mese dopo mese il ministero dell’Economia e finanze), ma solo uno spostamento del peso stesso da alcune poste ad altre.
Chiarito il quadro in cui ci muoviamo, quali sono i settori che stanno mostrando qualche segno di vitalità e potrebbero essere attraenti, ad esempio per investitori istituzionali come i fondi pensione che, si vede il caso della Norvegia o del Canada, per cercare di recuperare quei rendimenti che i titoli di stato non danno più si stanno sempre più spostando verso investimenti immobiliari o in titoli a rischio, in qualche caso anche con strategie a leva?
Secondo l’Istat a fine settembre a fronte di una produzione industriale pari all’1,7% su base annua corretta per gli effetti di calendario, agli aumenti dei comparti dei beni strumentali (+5,3%), dell’energia (+2,3%) e dei beni di consumo (+0,1%) ha fatto da contraltare l’ulteriore calo dei beni intermedi (-0,1%). Tra i singoli comparti che hanno registrato la maggiore crescita annua sono stati quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto (+23,2%), della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+12,3%) e della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+4,8%). Si noti che il comparto dei mezzi di trasporto, che da solo spiega quasi interamente la “ripresina” italiana, beneficia del consolidarsi della ripresa della produzione del gruppo Fiat Auto Chrysler, in buona parte ormai destinata ai mercati esteri.