La Fed teme il contagio di Cina e Brasile. Borse giù - Affaritaliani.it

Economia

La Fed teme il contagio di Cina e Brasile. Borse giù

Le borse europee aprono negative sulla scia della decisione della Fed di non toccare i tassi Usa. Gli investitori si attendevano un'azione da parte del presidente Yellen e restano delusi dal rinvio. Dopo i primi scambi Londra cede lo 0,49%, Parigi l'1,04%, Francoforte lo 0,85%, Milano lo 0,53%. Tokyo ha chiusi a 1,96%.

 Lo spread tra Btp e Bund apre sostanzialmente stabile a 112 punti dopo la decisione della Fed di lasciare i tassi invariati. Il tasso del decennale e' all'1,80%. Il differenziale tra Bonos e Bund si attesta a 132 punti con un rendimento del 2%.

Leggermente positive le piazze cinesi in chiusura dopo la decisione della Federal Reserve di non alzare i tassi di interesse. Il presidente della Fed, Janet Yellen, ha motivato la scelta con le incertezze provenienti dalle economie emergenti e le recenti turbolenze cinesi.
   Shanghai ha guadagnato oggi lo 0,38%, a 3097,92 punti (dopo avere aperto in rialzo dello 0,46%) mentre Shenzhen ha chiuso la seduta in rialzo dell'1,14%. Positiva anche Hong Kong, che nel primo pomeriggio segnava un aumento dello 0,35%. Negativa invece, Tokyo, che ha chiuso in ribasso dell'1,96%.

Wall Street in altalena dopo la decisione della Fed di non toccare i tassi e dopo la conferenza stampa del presidente Janet Yellen. Dopo un'iniziale debolezza seguita all'annuncio dei tassi, i listini americani hanno prima trovato slancio, poi sono tornati negativi. Il Dow Jones ha chiuso perdendo lo 0,38% a 16.675,54 punti, il Nasdaq è salito dello 0,10% a 4.893,95 punti mentre lo S&P 500 ha ceduto lo 0,3% a 1.990 punti.

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni

All'interno del Fomc, il braccio operativo della Federal Reserve che prende le decisioni sul costo del denaro negli Stati Uniti, alla fine hanno prevalso le 'colombe' preoccupate per le debolezze della crescita globale (rallentamento e bolla cinese; recessione in Brasile; le numerose aziende dei Paesi emergenti indebitati in dollari) che possono avere effetti indesiderati sul "ritmo moderato a cui si sta espandendo l'attività economica" a stelle e strisce. Così la banca centrale americana ha lasciato invariato il costo del denaro al minimo storico (tra lo 0 e lo 0,25%). Un livello a cui Ben Bernake, il predecessore di Janet Yellen, l'attuale presidente della Fed, lo aveva portato  a fine 2008, in piena crisi dei mutui subprime. Era il 18 settembre 2007, in piena crisi finanziaria, quando l'economista di Princeton iniziò il taglio dei tassi con un abbassamento di mezzo punto percentuale (erano al 6,25%).

Dopo la tradizionale due giorni di analisi e confronto, il voto delle colombe è stato superiore a quello del falco Jeffrey Lacker, presidente della Fed di Richmond, che avrebbe voluto una stretta pari allo 0,25%, temendo in primis i troppi squilibri economici e finanziari alimentati da un costo del denaro a zero. La famosa bolla dell'immobiliare Usa, alimentata dal denaro facile, che è poi stato all'origine anche dello scossone del 2008. I banchieri della istituto centrale a stelle e strisce hanno motivato la propria scelta, rinviandola alle altre due finestre d'intervento disponibili da qui alla fine dell'anno (fra 40 giorni a fine ottobre e inizio dicembre), spiegando che anche se negli Usa "si registra un solido rafforzamento del mercato del lavoro con una flessione della disoccupazione, non è ancora giunto il momento di tornare ad alzare il costo del denaro". 

"L'economia globale e gli eventi finanziari - proseguono - potrebbero frenare l'attività dell'economia. Spaventa la crisi cinese e l'inflazione non è tornata ancora a salire verso l'obiettivo del 2%. I prezzi al consumo resteranno nel breve termine ai minimi e continuerà a salire gradualmente verso il 2% solo nel medio termine". Quindi, l'inversione di rotta, come atteso oltretutto dai mercati e dalla maggior parte degli operatori interpellati dai sondaggi che sono fioccati in questi giorni, è stata rinviata: la politica monetaria degli Usa resta espansiva per alimentare una veloce ripresa economica. 

La Fed comunque crede in una ripresa degli Usa, tanto da aver rialzato le stime sul Pil e da aver abbassato quelle sulla disoccupazione. Per il 2015, la banca centrale americana attende una crescita del prodotto interno lordo al 2,1%, mentre a giugno aveva indicato un +1,9%. Quest'anno il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 5%, meno del 5,3% ipotizzato tre mesi fa e l'inflazione è stata rivista al ribasso. sull'andamento dei prezzi, il dato 2015 si dovrebbe attestare al +0,4%, in ribasso dallo 0,7% di giugno. Per la componente "core", quella epurata cioè dalle componenti più volatili come i prezzi di energia e generi alimentari, le stime sono per un 1,4%, in rialzo dall'1,3% previsto in precedenza. Per il 2016, invece, la banca centrale americana prevede un aumento del Pil del 2,3% (a giugno era 2,5%), un tasso di disoccupazione al 4,8% (meno del 5,1% di giugno) e un'inflazione "core" all'1,7%, contro l'1,8% di giugno. Per il 2017, a fronte di una crescita del 2,2% (rispetto al 2,3% di giugno), è previsto un tasso di inflazione "core" all'1,9% (a giugno era al 2%) e un tasso di disoccupazione al 4,8%, contro il 5% stimato a giugno. Per il lungo termine, infine, le previsioni parlano di un Pil al 2% (invariato da marzo) e un tasso di disoccupazione al 4,9% (meno del 5% di giugno).