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Economia
Mps-UniCredit, la zavorra dei costi. Ecco perché gli esuberi saranno 6.000

In Via XX Settembre sembra definitivamente tracciato il sentiero che porta alla fusione tra UniCredit e Mps. Ma ci sono ancora molti punti da chiarire in maniera definitiva, di diversa natura e diversa entità. Partiamo dalla governance: Pier Carlo Padoan non si è ancora insediato alla presidenza di Unicredit e già diverse voci danno alta la tensione tra lui e il presidente del comitato nomine Stefano Micossi. L’ex ministro dell’Economia, infatti, spinge per una rapida definizione del successore di Mustier in modo da impostare la strategia anche in ottica di matrimonio con Monte dei Paschi.

Padoan ha da sempre in mente il nome di Marco Morelli, già amministratore delegato di Rocca Salimbeni, anche se pare che come Corrado Passera, l'ex Intesa ed Mps non sia della partita. Ma si sono fatti anche i nomi, in ordine sparso, di Marina Natale, Victor Massiah, Roberto Nicastro (cavallo di ritorno) e perfino di Alberto Nagel. Micossi, dal canto suo, prende tempo e vuole aspettare la nuova assemblea per definire il nuovo capo di Gae Aulenti. Il quale dovrà decidere rapidamente che cosa fare sotto molti punti di vista.

Il primo e più evidente elefante nella stanza è proprio Mps: sembra che in UniCredit non siano poi così convinti del matrimonio, ma tali e tante sono le pressioni che arrivano dallo Stato – che vuole disfarsi della quota di Rocca Salimbeni – che alla fine sembra proprio che si farà. Ma attenzione: non sarà indolore. Partiamo dai numeri: attualmente l’istituto toscano non sembra mostrare particolari problemi di capitalizzazione nell’immediato.

Il dato Cet1 è tra i più bassi in Europa, ma è comunque superiore al 13%. Il problema, però, è che servono tra i 2 e i 2,5 miliardi per soddisfare i fabbisogni di capitale di medio termine. E a dirlo non è una società di consulenza, ma lo stesso istituto di credito in una nota. Un’operazione che deve essere completata entro il 31 gennaio dell’anno prossimo, quando si dovrà sottoporre alla Bce il nuovo capital plan. Un nuovo piano, dunque, che porterà a una riduzione dell’organico nell’ordine di 2.670 unità tra fondo di solidarietà e turnover naturale nel quinquennio 2021-2025. 

Terzo ordine di problema: come rendere appetibile Mps per Unicredit? Lo Stato ci sta pensando e potrebbe mettere in atto una cessione di un ulteriore pacchetto di npl per circa 5 miliardi, con benefici fiscali per 2,5, in modo da “imbellettare” l’istituto in attesa del matrimonio che sembra ormai scontato.

Quarto problema: nuovamente i numeri. Se il mondo bancario sembra necessariamente andare incontro a una nuova stagione di fusioni per reggere alle temperie della crisi che sarà, ci sono parecchi parametri che vanno considerati. Ad esempio: le famose economie di scala che vengono sempre invocate non sono sempre positive. Unicredit e soprattutto Mps sono due dei tre istituti di credito con il più alto rapporto cost-income. Significa che per realizzare un euro di guadagni, la banca senese deve spendere 86,2 centesimi e Unicredit più di 82. Una marginalità molto bassa che non necessariamente migliorerebbe dalla fusione. 

A meno che, una volta sposati, i due istituti non decidano di procedere a un’ulteriore sforbiciata del personale. Il rischio in effetti c’è, anche perché la gestione Mustier, fortemente incentrata sul core business, ha lasciato ben pochi asset fruttiferi da cedere. E su Mps molto si è già detto: la parte più “interessante” è rappresentata proprio da quegli npl che, se venduti, tolgono sì le castagne dal fuoco nell’immediato, ma riducono ulteriormente il perimetro d’azione.

Anche perché – quinto e ultimo problema – la stagione che si preannuncia non è esattamente tra le più felici per il mondo del credito in generale. Tant’è che, dopo anni di miglioramento del parametro, nel secondo trimestre di quest’anno le svalutazioni dei crediti performing sono aumentate del 26%. Le banche italiane hanno un Npl ratio medio del 6,1% (molto più alto della media europea).

Al secondo posto tra gli istituti più colpiti c’è proprio Mps. Infine, si sta alzando sempre più la marea dei cosiddetti “Livello 2” cioè quei crediti che non sono ancora definitivamente deteriorati, ma che iniziano a destare qualche preoccupazione: siamo passati dal 7 all’8,2% in tre mesi. 

Le misure di sostegno, è ovvio, non potranno durare in eterno. E dunque: che futuro aspetta Mps e UniCredit? È intorno a questo dubbio amletico che si dipanano scelte e strategie dei due istituti. Un matrimonio, per di più combinato, non è detto che sia la soluzione migliore. 

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