Trump-Putin, altro che fallimento (come vorrebbe l’Occidente): ecco perché la pace si avvicina - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 19:39

Trump-Putin, altro che fallimento (come vorrebbe l’Occidente): ecco perché la pace si avvicina

Dall’Alaska segnali di progresso per il conflitto ucraino-russo, ma crescono le critiche: le principali voci discordanti e il contesto spesso trascurato dai media italiani

di Enrico Verga

Il faccia a faccia Putin-Trump sorprende, ma l’Occidente resta scettico

Il meeting del 15 agosto 2025 in Alaska è stato un successo: un primo passo per definire una road-map verso una risoluzione del conflitto ucraino-russo. Tuttavia, sono molte le voci discordanti su questo evento. Per offrire migliore comprensione al lettore analizziamo le principali critiche in modo che ogni singola affermazione possa essere compresa, all’interno di uno scenario più amplio, di rado affrontato dai media italiani in moto integrale.

Il meeting dove Trump si è inginocchiato

Una delle posizioni più critiche affronta il tema della subordinazione di Trump a Putin. Nella conferenza stampa Putin ha parlato per primo, continue strette di mano, sorrisi, persino Putin che sale sull’auto di Trump, invece di usare la sua. Tutti messaggi, secondo esperti di geopolitica e giornalisti (tutti occidentali), di una posizione supina di Trump verso Putin.

Trump non sarà un politico di professione, ma conosce l’ABC delle contrattazioni e il modo di ragionare dei russi. Si ricordi che la Russia, da sempre, è una nazione orgogliosa, lo si chieda a ogni russo. Gli euroasiatici, di cui la Russia è parte, hanno un concetto di immagine o di “faccia (Mianzi in cinese)” che deve essere rispettata. In questo Trump dimostra di dare ampio spazio al suo ospite. Pur riconoscendo questa importanza a Putin, Trump ha fatto scortare a terra l’aereo presidenziale russo da caccia americani, ha fatto volare sopra le loro teste aerei di ultima generazione e ha schierato un Parterre de rois composto di F-35 e un numero ridotto di soldati.

Un messaggio che si sostituisce la classica fanfara e gli inni nazionali con una manifestazione di rispetto ma anche di forza. Concetti familiari ai leader centroasiatici. Il messaggio è chiaro: ti rispetto, ma sono anche io forte come te. Mentre l’affabilità di Trump è stata considerata dai media occidentali come accondiscendenza, la dimostrazione di forza con velivoli di ultima generazione e senza fanfare non riceve commenti dai media occidentali.

Putin ha approfittato del meeting per rientrare nel “Club di chi conta”

Pur con la mancanza dei classici cerimoniali, a Putin è stato destinato un tappeto rosso, cosa che ha colpito tutti. Forse ancora più rilevante è che, alla conferenza stampa, sia stato Putin a parlare per primo. Questo è stato rivenduto dai media occidentali come una legittimazione di Putin e il suo ritorno in pompa magna nella politica internazionale. Lo denuncia l’analisi del WSJ a firma Lara Seligman e Thomas Grove. È bene ricordarsi che una certa stampa legata al sistema finanziario non vede molto bene Trump.

Ad ogni modo, il tema principale è la supposta “legittimazione di Putin di nuovo nel Club di chi conta”. Al WSJ peccano di un’antica sindrome, spesso occidentale di matriche anglo americana: l’Etnocentrismo. E’ la tendenza a giudicare la storia, la struttura sociale e la cultura dei gruppi umani diversi dal gruppo cui si appartiene secondo i valori propri di questo, tenuto come ideale centro e punto di riferimento dell'analisi.

Una sindrome che, parlando di noi occidentali, è manifesta da secoli ma scarsamente dibattuta dai media nostrani. Il mondo occidentale — europeo prima, americano poi — è emerso come leader del mondo a partire dalla conquista militare dell’India da parte della Compagnia delle Indie oltre 200 anni fa (1757 bengala). Da lì, poco meno di 3 secoli di continua crescita dell’Europa a livello economico, sociale, finanziario e infine politico. Poi è giunto il momento degli USA dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’impero britannico ormai esausto per le tante guerre che aveva innescato, ha ceduto il passo agli USA. Per noi occidentali la primazia del nostro modo di vita è data come assunta.

Questo, nel tempo, ha generato il fenomeno di etnocentrismo che, tradotto semplicemente, significa pensare che ogni cittadino del mondo ambisca ad essere occidentale e che l’Occidente stesso sia il centro del mondo. Per quanto il secondo aspetto sia stato valido per circa un secolo (diciamo dal 1900 al 2008), oggi grazie alla Cina, il resto del mondo ha un riferimento e un’alternativa di crescita sociale ed economica differente da quella americana.

Questo ci porta alla critica dell’analisi del WSJ, dove Putin è stato “riammesso nel consesso mondiale” grazie a Trump. Una spiegazione più interessante, che smonta paranoia etnocentrica occidentale, la troviamo nelle parole dell’ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti ed ex direttore della CIA Robert Gates che, dalle pagine della Harvard University Press, scrive: "L’arroganza, dopo il crollo (dell’URSS), dei funzionari del governo americano, degli accademici, degli uomini d’affari e dei politici nel dire ai russi come condurre i propri affari interni e internazionali (per non parlare dell’impatto psicologico interno della loro caduta improvvisa dallo status di superpotenza), ha portato a un risentimento e un'amarezza profondi e di lunga durata."

Piaccia o meno, in questi 3 anni di guerra l’ex presidente Biden, affetto da seri problemi di demenza senile, ha reso il mondo non-occidentale sempre più sospettoso delle azioni Occidentali. Detta semplice, le leggi della Carta dell’ONU sembrano valere solo quando fanno ragione all’Occidente. Il caso emblematico è la violazione dei patti sull’antico accordo USA-Cina del “Una sola Cina”: concetto americano che riconosceva la Cina continentale come l’unica nazione con cui dialogare per la politica. Mentre durante l’amministrazione Obama prima e ancor di più Biden in seguito, questa regola, definita ai tempi tra Nixon e la Cina, venne meno. Non è un caso che Blinken (burocrate in odore di visione Neocon, il partito della guerra asimmetrica americana) sia stato accolto in Cina in modo distratto, quasi ininfluente.

Mentre i cinesi hanno accolto con tutti gli onori Kissinger: un nemico della Cina, ma pur sempre un nemico onorevole che a 100 anni ha dovuto prendere un aereo e andare in Cina per stemperare i bollori tra Cina e USA. In questi 3 anni i BRICS hanno accresciuto la loro sfera di influenza economica e sociale. Le (ex) colonie africane francesi si sono ribellate e ora sono sotto la sfera di influenza cino-russa. La Cina ha creato una tregua duratura tra Saudi Arabia e Iran (una guerra proxy basata sulla religione, ma in verità sempre fomentata dagli USA dai tempi della cacciata dello Scià di Persia, pupazzo americano).

La Cina ha sviluppato una strategia di annessione di rotte e porti che solo ora, Trump, sta contrastando (partendo dal Canale di Panama). La Russia con la sua politica energetica ha rivenduto gas e petrolio a India e Cina che, al netto della commodity a uso interno, li hanno raffinati rivendendoli a prezzo maggiorato alla UE. E anche lo stesso accordo sul grano, tanto decantato come un successo europe, ha visto broker turchi scaricare cereali ucraini a prezzo ribassato su mercati europei, danneggiando gli agricoltori est-europei e spingendoli ad aspre proteste a Bruxelles. Definire Putin come “vincitore” perché finalmente è stato riammesso al tavolo “dei grandi del mondo” è quanto mai sintomo di una cecità geopolitica che non ha pari. A meno che gli analisti del WSJ credano veramente che l’unico mondo che ha valore e potere sia quello occidentale a guida americana.

Putin e le sue interferenze nelle elezioni americane

Uno dei temi su cui sia Putin che Trump hanno convenuto sono state le supposte manipolazione russe per influenzare (a favore di Trump) le elezioni del 2016 e il tentativo (sempre a favore di Trump) di farlo rieleggere nel 2020 (quando vinse Biden). Per le elezioni del 2020 Putin ha inoltre suggerito che il voto elettorale sia stato manipolato da Biden (che poi ha vinto). Partiamo dalle elezioni del 2016. Il famoso Russia-Gate: la supposta collusione di Trump con Putin che, tramite macchinazioni infernali, avrebbe fatto perdere la Clinton.

In verità, la Cnn già nel 2022 aveva spiegato come era nato il Russia-Gate, per opera della candidata alle elezione del 2016 Hillary Clinton, cito testualmente: “Hillary Clinton approvò personalmente i piani della sua campagna nell'autunno del 2016 per condividere con un giornalista informazioni su un presunto canale di comunicazione segreto, non corroborato da prove, tra Donald Trump e una delle principali banche russe, ha testimoniato in tribunale federale il suo ex responsabile della campagna, Robby Mook. Mook ha dichiarato di aver partecipato a una riunione con altri alti funzionari della campagna durante la quale vennero a conoscenza di un'attività informatica sospetta che suggeriva una possibile relazione tra la Trump Organization e Alfa Bank, con sede a Mosca.

Il gruppo decise di condividere queste informazioni con un giornalista, e Mook successivamente sottopose tale decisione alla Clinton. Ne abbiamo discusso con Hillary, ha detto Mook, aggiungendo in seguito che lei ha concordato con la decisione.” Il NYPost (testata che venne censurata da Biden quando, sotto elezioni Trump-Biden 2020, pubblicò analisi sulle attività sospette di Hunter Biden e collusioni con aziende ucraine come Burisma) confermò le attività di produzione di fake news della Clinton.

Il Russia Gate tuttavia non si limita a questo. Non è stata la Clinton a “inventare” tutto, di fatto una fake news. I documenti che incastrano la candidata presidenziale sono però una prova. Nell’analisi del NYPost sopra menzionata si legge: “E quello che mostrano quelle informazioni di intelligence è che in parte si trattava di un piano di Hillary Clinton, ma in parte era anche un piano dell'FBI per fare da acceleratore a quel falso dossier Steele, a quelle false accuse di collusione con la Russia, versando benzina sul fuoco, amplificando la menzogna e nascondendo la verità su ciò che stava facendo Hillary Clinton.”

La Clinton ottenne un rapporto creato ad arte da un ex agente del MI6 inglese ( Christopher Steele). Il fatto che fosse un ex agente venne visto come un’ulteriore ragione per considerare le informazioni reali. Come spiega il NYPost: “Il Washington Free Beacon, la campagna di Clinton e il Comitato Nazionale Democratico hanno finito per finanziare la ricerca condotta da Christopher Steele su Trump durante il ciclo elettorale del 2016. Il dossier Steele, in gran parte smentito, è stato esaminato dagli investigatori nell’ambito dell’indagine Crossfire Hurricane dell’FBI sull’interferenza della Russia nelle elezioni del 2016.”

Vale la pena ricordare che la stessa FBI, come spiega la CNN, offrì a Steele 1 milione di dollari per provare che le affermazioni del suo dossier, poi acquisito da Clinton, erano veritiere. La stessa FBI, sulla base del rapporto Steele, lanciò un’indagine contro Trump. Indagine poi rivelatasi basata su informazioni false (il rapporto Steele), ma che creò forte imbarazzo, come spiega la CNN citando il procuratore speciale John Durham, che dichiarò: “ho concluso che l'FBI non avrebbe mai dovuto avviare un'indagine completa sulle connessioni tra la campagna di Donald Trump e la Russia durante le elezioni del 2016.

Il rapporto di oltre 300 pagine di Durham afferma inoltre che l'FBI ha utilizzato informazioni grezze, non analizzate e non corroborate, per avviare l'indagine ‘Crossfire Hurricane’ su Trump e la Russia, ma ha adottato uno standard diverso nel valutare le preoccupazioni riguardo a una presunta interferenza elettorale legata alla campagna di Hillary Clinton.” La censura di Biden durante la prima campagna elettorale del 2020 Biden-Trump è un tema accennato da Putin. Consideriamo i fatti. Quando emerse che esisteva un laptop di Hunter Biden contenente informazioni pericolose contro Biden padre, ci furono 51 spie che affermarono si trattasse di un’altra manipolazione elettorale russa.

Nel 2020 Biden correva contro Trump. Le spie dichiararono che era una truffa russa e che il laptop era falso. Come confermato dal ministero della giustizia americana le 51 spie  (per lo più collaboratori della CIA) mentirono. I dati presenti sul laptop di Hunter Biden, tra cui le sue collaborazioni con l’azienda energetica ucraina Burisma  (da cui percepì 50.000 $ al mese per stare nel consiglio di amministrazione), avrebbero danneggiato la campagna del padre Biden nel 2020, rischiando di far vincere Trump. Biden quindi chiese all’FBI di tacitare i social media, come lo stesso Zuckerberg e il precedente CEO di Twitter confermarono in seguito. Vennero poi censurate varie testate “ribelli, che non facevano il gioco di squadra” come il NYPost. Le affermazioni quindi di Putin sul fatto che la Russia non abbia partecipato alle elezioni americane, in modo da modificarle a beneficio di Trump, non sono false. Come dimostrano articoli e posizioni di istituzioni americane e media americani. Al più se vi sono state manipolazioni mediatiche e censure provengono dai candidati alle elezioni e presidenti democratici.

Con Trump non ci sarebbe stata la guerra ucraina

Sempre il New York Times riporta la frase di Putin: “se ci fosse stato Trump nel 2022, non ci sarebbe stata guerra”. (Chris Cameron del NYT). Anche in questo caso facciamo il punto. Quando avviene il colpo di stato in Ucraina, durante il mandato di Obama, l’allora leader Yanukovych, democraticamente eletto e piuttosto neutrale, ma secondo Obama fin troppo filorusso, dovette scappare dall’Ucraina. Dopo 1 anno di tumulti civili e stragi (piazza Maidan), venne eletto un leader filo-occidentale. Yanukovych, è da ricordare, si opponeva strenuamente alle richieste del Fondo Monetario Internazionale, a leadership americana, che voleva imporre una ricetta “lacrime e sangue” al sistema sociale ed economico ucraino.

Di fatto, il FMI voleva una totale apertura del mercato ucraino alle aziende internazionali, le più attive delle quali erano americane. La continua opposizione di Yanukovych, manifestata anche all’allora presidente Obama e al suo vice Biden, non era ben vista. Di qui l’etichettatura di Yanukovych come filorusso (o meglio dire: non interessato alle politiche di indebitamento occidentali). cacciato Yanukovych, l’Ucraina iniziò un altro ciclo di indebitamento. Il successivo presidente filo-americano Poroshenko si vide approvare il prestito miliardario del FMI e si mise subito all’opera per aprire l’Ucraina all’Occidente.

Nel frattempo, già da prima della caduta di Yanukovych, due burocrati americani, Blinken e Nuland, erano attivi in Ucraina. Come riporta il New York Time, a firma Gessen: si spiega come la Nuland, intercettata al telefono mentre parlava di un cambio di governo in Ucraina, parlasse come se fosse lei a decidere chi avrebbe gestito il nuovo governo ucraino post-fuga di Yanukovych. Non è dato di sapere se con Trump al governo si sarebbe evitato il conflitto. Ma vale la pena di riportare che le violazioni della tregua tra le due regioni ucraine indipendentiste, a maggioranza etnico-linguistica russa, e il governo centrale ucraino, durante il 2022 prima del conflitto, ebbero violenti scontri.

Per la precisione l’OCSE riportava oltre 1000 violazioni, spesso perpetrate dalle truppe di confine ucraine contro le posizioni militari e civili indipendentiste. Dal lato suo Putin ha sempre criticato gli accordi di Minsk definendoli una farsa. Per quanto questo tema sia dibattibile è ufficiale che, come riporta UnHerd, “Nel 2022, Merkel ha rilasciato un'intervista che sembrava dare una certa credibilità all'interpretazione russa degli eventi. Parlando a Die Zeit, ha affermato che gli accordi di Minsk erano un tentativo di dare tempo all'Ucraina e che l'Ucraina ha usato questo tempo per rafforzarsi, come si può vedere oggi.

Molti hanno interpretato queste parole come un'ammissione che le parti occidentali coinvolte nei negoziati — inclusa la stessa Merkel — non fossero mai realmente interessate a trovare una soluzione pacifica.”

La Russia non può negare a Kiev la Nato o la UE

La NATO, per quanto nell’era post sovietica abbia espanso la sua agenda di politica estera, resta pur sempre un’organizzazione militare costituita da nazioni democratiche militarmente moderate, salvo un membro non europeo. Introdurre una nazione come l’Ucraina, con un tasso di corruzione tra i più elevati nel mondo e una leadership politica instabile, sarebbe un azzardo. Lo stesso Biden, più volte durante il suo mandato di Presidente, ha chiarito che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato.

Anche Obama, in precedenza, aveva dichiarato lo stesso. Per quanto alcuni membri minori della Nato (minori per dimensioni militari) come gli stati baltici, da sempre ostili alla Russia, vorrebbero l’Ucraina nell’organizzazione militare, questa soluzione sarebbe un rischio per l’intera alleanza.

Kiev ed europei ostacolano il processo secondo Putin

Non si può mappare una singola macro strategia europea che possa identificare la UE come oppositore alla pace. Tuttavia si possono fare alcune considerazioni per quanto concerne le nazioni europee. Negli ultimi due anni vi sono differenti aziende, in particolare quelle della difesa, che hanno avuto ottimi trimestri grazie alla guerra Ucraino-Russa.

La stessa Euronews riportava nel 2024 come le industrie della difesa avessero guadagnato dalla guerra: “le 100 principali aziende produttrici di armi al mondo hanno registrato profitti per quasi 600 miliardi lo scorso anno, in un contesto segnato dalle guerre a Gaza e in Ucraina e da una situazione geopolitica generalmente tesa. Le aziende che producono armi e forniscono servizi militari hanno aumentato i loro profitti a livello globale del 4,2%, raggiungendo un totale di 598 miliardi di euro nel 2023, secondo un’analisi dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI).”

Per quanto non vi siano relazioni dirette e ufficiali tra l’attuale leader europea, la burocrate Von der Leyen, e le industrie della difesa europee, il media europeo atlantista Politico a marzo 2025 pubblica un’analisi sul desiderio delle compagnie di difesa UE di essere più presenti nel mercato della difesa europea. In pratica che i ministeri della difesa degli stati europei comprino più armi europee.

Scrive Politico: “fino a 100 aziende europee e gruppi di lobby, tra cui giganti come Airbus e Dassault, stanno facendo pressione sulla Commissione Europea affinché imponga una maggiore presenza di tecnologie europee nelle infrastrutture digitali del blocco. In una lettera indirizzata alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e alla responsabile della sovranità tecnologica Henna Virkkunen, resa pubblica lunedì, le aziende affermano che l’Europa ha bisogno di essere più indipendente dal punto di vista tecnologico in tutti gli strati della sua infrastruttura digitale critica.

I firmatari chiedono l’introduzione di requisiti Buy European per i governi, al fine di aumentare la domanda di tecnologie sviluppate internamente, e la creazione di un "fondo per le infrastrutture sovrane" per sostenere investimenti in settori ad alta intensità di capitale, come i microchip e la tecnologia quantistica.” Se i lobbyisti o le aziende citate abbiano potere per influenzare in modo diretto le scelte di Von der Leyen non è dato sapere. Però concediamoci una considerazione. Un clima di tensione e di paventato conflitto nucleare mondiale (cosa che i media occidentali hanno enfatizzato negli ultimi tre anni, prima in riferimento alla guerra ucraino-russa poi a quella israeliana contro l’Iran) può spingere l’elettorato, facilmente manipolabile tramite guerra cognitiva (una versione evoluta di propaganda che satura la sfera cognitiva dell’individuo) a votare partiti che manifestano, in fase di elezioni, maggior sicurezza ergo maggior spesa in difesa.

In tal senso vari partiti ora al governo, di destra o sinistra, han manifestato, durante tutto il conflitto ucraino, il rischio che la Russia potesse invadere l’intera Europa. Se la guerra ucraina dovesse interrompersi, e in parallelo (tema non legato alla guerra ucraina) si dovesse raffreddare il fronte israeliano, esiste il rischio che la popolazione occidentale possa percepire come meno rilevante la spesa di ogni stato europeo per decine di miliardi, a cui si aggiunge un programma per creare un debito europeo comune, per circa (cumulativa) di quasi 1 trilione di dollari. Questo danneggerebbe seriamente le industrie della difesa e le loro filiere. Per quanto il meeting dell’Alaska sia, ad avviso dello scrivente, solo un primo passo, appare un passo di successo dopo 3 anni dove due grandi imperi come quello russo e americano, si sono di fatto affrontati in modo brutale sull’ennesima guerra per mandato.

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