Auto e Motori
Volvo riduce la forza lavoro: 3.000 tagli per resistere alla crisi
Volvo annuncia 3.000 licenziamenti tra gli impiegati, in risposta al calo della domanda EV, al crollo dei margini e alle incertezze geopolitiche sui dazi doganali.


Il vento della transizione elettrica si fa più freddo per Volvo Cars, che ha annunciato il 26 maggio un importante piano di ristrutturazione con 3.000 tagli occupazionali,
colpendo soprattutto i colletti bianchi in Svezia. Si tratta di una mossa drastica ma inevitabile secondo il CEO Hakan Samuelsson, che ha spiegato come l’azienda debba reagire a “un periodo difficile” per l’intera industria automobilistica. A incidere, non solo l’aumento dei costi di produzione e la domanda EV più debole del previsto, ma anche le crescenti incognite geopolitiche, con il rischio concreto di nuove tariffe commerciali USA-UE.
L’intervento, che coinvolgerà 1.200 dipendenti diretti e circa 1.000 consulenti esterni, interesserà in particolare la sede centrale di Göteborg e rappresenta circa il 15% della forza lavoro impiegatizia globale del marchio svedese. I tagli attraverseranno tutte le divisioni: dalla ricerca e sviluppo alla comunicazione, passando per risorse umane e servizi interni. “Nessuna area sarà risparmiata”, ha chiarito il nuovo CFO Fredrik Hansson, spiegando che la decisione è “su misura per rendere Volvo strutturalmente più efficiente”.
La decisione arriva in scia a un calo del 60% dell’utile operativo nel primo trimestre 2025, un dato che ha costretto Volvo a ritirare le proprie linee guida finanziarie per l’anno in corso. A peggiorare il quadro, l’aumento delle materie prime, la concorrenza sempre più aggressiva in campo elettrico e la crescente fragilità della fiducia dei consumatori. Non a caso, già lo scorso 29 aprile il gruppo aveva annunciato l’intenzione di ridurre gli investimenti e tagliare i costi operativi, anticipando che i licenziamenti sarebbero stati parte del piano.
Per supportare il processo di ristrutturazione, Volvo stima un impatto fino a 1,5 miliardi di corone svedesi (circa 140 milioni di dollari) che peseranno sui risultati del secondo trimestre. Una cifra significativa, ma che l’azienda considera un passo necessario per recuperare margini di manovra finanziaria e liberare risorse strategiche per le sfide future.
Ma oltre alla frenata della domanda, sulle scelte del gruppo pesa anche l’incertezza geopolitica. Il ritorno di Donald Trump sulla scena politica statunitense e la sua minaccia di imporre tariffe doganali del 50% sulle auto importate dall’Unione Europea hanno messo in allarme l’intero comparto automotive europeo. Volvo, che produce principalmente in Europa e Cina, è più esposta di altri costruttori a simili misure protezionistiche.
Il CEO Samuelsson non ha nascosto le sue preoccupazioni. “Una tariffa del 50% renderebbe impossibile importare negli Stati Uniti l’EX30”, uno dei modelli più accessibili della gamma elettrica Volvo, prodotto in Belgio. Una mossa che, se confermata, colpirebbe proprio il segmento chiave su cui l’azienda sta puntando per crescere nel mercato nordamericano. Per ora, la scadenza della misura è stata posticipata al 9 luglio, dando spazio a negoziati tra Washington e Bruxelles. Ma l’incertezza resta, e con essa il rischio di dover rivedere i piani industriali e commerciali oltreoceano.
Il caso Volvo è emblematico di un momento più ampio e complesso per tutto il settore automotive europeo. Dopo anni di investimenti massicci nella mobilità elettrica, molte case automobilistiche si trovano oggi a dover fare i conti con un mercato più difficile del previsto. L’entusiasmo iniziale per gli EV si sta scontrando con ostacoli concreti: infrastrutture di ricarica insufficienti, costi ancora elevati, e un’inflazione che frena gli acquisti. In questo contesto, persino le aziende più strutturate devono ripensare le proprie priorità.
La ristrutturazione in corso è il segnale che Volvo vuole affrontare questo passaggio con lucidità, tagliando dove serve ma anche cercando di rilanciare in modo più sostenibile. Secondo Samuelsson, “sarà un’operazione salutare” che permetterà di semplificare l’organizzazione e “dare più spazio alle persone per assumersi responsabilità più grandi”. Una visione che punta a restituire agilità decisionale, evitando il rischio di paralisi che spesso accompagna i momenti di difficoltà.
In attesa di conoscere l’effettiva portata dei tagli e le loro conseguenze operative, il messaggio che arriva da Göteborg è chiaro: la Volvo di domani sarà più snella, più focalizzata e più selettiva nei propri investimenti. Un’azienda meno appesantita, pronta a rispondere con più prontezza alle turbolenze di un mercato globale che cambia ogni mese. La sfida della transizione elettrica è tutt’altro che finita, e Volvo sa che non potrà affrontarla senza un serio aggiustamento strutturale.
L’auspicio è che questo passaggio doloroso possa trasformarsi in un’opportunità per ripartire con maggiore consapevolezza, mantenendo vivo lo spirito di innovazione che da sempre caratterizza il marchio svedese. In un’industria che deve ancora trovare il suo nuovo equilibrio, ogni decisione conta. E quella di Volvo, oggi, è un passo deciso nella direzione di una sopravvivenza intelligente, prima ancora che di una crescita futura.