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Politica
Ballottaggi a Roma e Torino: i voti del M5S mettono a rischio il patto col Pd
Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri erano nello stesso consiglio dei Ministri, ma l'appoggio ufficiale del M5S al candidato Pd non è affatto scontato

I ballottaggi a Roma e Torino mettono a dura prova il progetto di alleanza tra Pd e M5S: il fenomeno del voto “in libera uscita” mette in dubbio le sorti di Gualtieri e Lo Russo

Fervono le trattative politiche a Roma e Torino, in vista dei ballottaggi, ma la conquista dei voti in libera uscita è tutt’altro che scontata. Il Pd era convinto di poter avere vita facile in un secondo turno nel quale avrebbe ragionevolmente beneficiato della convergenza sia del M5S, col quale è in atto una più ampia strategia nazionale, sia della “sinistra-sinistra”, nel nome del contrasto alle destre. Se quest’ultimo obiettivo è stato facilitato dal duplice allarme-neofascismo lanciato dall’inchiesta “lobby nera” e dall’assalto alla CGIL, tutt’altra storia va raccontata nel rapporto con il M5S. Le specificità locali rappresentano infatti un concreto ostacolo al progetto di alleanza strutturale che dovrebbe dar vita al nuovo centrosinistra. 

I MALUMORI DI APPENDINO E RAGGI

A Torino la figura di Stefano Lo Russo è considerata molto lontana dal M5S, anche perché rappresenta una sorta di ritorno alla “ditta” che ha a lungo governato la città, prima che il malcontento si incarnasse nell’elezione di Chiara Appendino, che oggi è una delle meno convinte dell’opportunità di appoggiare il candidato del Pd. Ancora più determinata a mettersi di traverso è la Sindaca uscente di Roma: Virginia Raggi non solo non intende fare quell’endorsement per Roberto Gualtieri che sarebbe molto gradito a Giuseppe Conte, ma sta avvicinandosi al ballottaggio con passaggi che paiono preludere alla nascita di una sua corrente, per nulla favorevole alla linea dell’ingresso nel fronte progressista. 

IL FATTORE CALENDA E DI BATTISTA

Nella Capitale, inoltre, bisogna fare i conti anche con Alessandro Di Battista, un battitore libero tuttora piuttosto influente sull’elettorato grillino della prima ora. E certamente non è un mistero che nemmeno per lui la prospettiva del matrimonio rappresenta il migliore dei mondi possibili. Chi voterà certamente per Gualtieri è Carlo Calenda, che però ha precisato di aver fatto una scelta a titolo personale e che comunque siederà all’opposizione nei banchi del Campidoglio: non c’è nessun impegno nel coinvolgere gli elettori di Azione, per non perdere il consenso nei confronti di coloro che vengono da un background piuttosto distante dal centrosinistra. 

VOTI IN LIBERA USCITA

In questo scenario, viene meno un elemento tradizionale delle elezioni a doppio turno: la scelta di campo da parte di chi, sconfitto nella prima tornata, si schiera per sincera convinzione o per mera opportunità. Tra posizioni personali ed esternazioni sugli elettori che “non sono pacchetti postali”, è tutta una corsa a sfilarsi da scelte impegnative, fattore che produce un voto “in libera uscita” e quindi mette in serio dubbio il risultato finale. 

IL CENTRODESTRA PUNTA SULLE PERIFERIE

Da parte sua, il centrodestra può giovarsi di questa mancata saldatura, visto che la sua coalizione si è già palesata al primo turno e difficilmente potrà guadagnare granché nei ballottaggi. Semmai, la chiave di volta sia per Enrico Michetti che per Paolo Damilano è legata all’affluenza. Le speranze di vittoria si legano alla capacità di motivare gli elettori a tornare alle urne, con particolare riguardo alle periferie: contrariamente a quanto detto in alcune analisi superficiali a caldo, il centrosinistra in queste aree non ha particolarmente sfondato, ma ha soprattutto beneficiato dell’astensionismo. 

Su queste variabili si gioca la sfida di Roma e Torino, determinante anche in ottica nazionale. Perché tra un 5-1 per il centrosinistra e un 3-3 passa una differenza enorme.
 

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