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Politica
Di Maio ambasciatore di se stesso voluto da Draghi

Di Maio e quel patto di ferro con Mario Draghi

L’affaire Di Maio è di un certo interesse per chi si interessa di “enigmistica politica” e cioè l’arte di disvelare il velato dietro gli avvenimenti di quel perenne porto delle nebbie che è l’Italia. Restava ancora da fare pienamente luce sul fatto del perché Matteo Salvini fece harakiri facendo cadere il governo giallo – verde quando vi si sommò l’Enigma Draghi, che non è un libro di Stephen King, ma bensì il fumo che ancora attanaglia i veri motivi del perché l’ex premier se ne sia andato anzitempo pur potendo governare, quando ci è piovuto addosso un corollario e cioè l’Enigma Di Maio. Riavvolgiamo il nastro avvertendo il lettore che la vicenda è complessa.

Luigi Di Maio, come noto, ha lasciato i Cinque Stelle fondando un movimento che non è mai esistito e cioè “Insieme per il Futuro”, quando si è accorto che il suo acerrimo nemico Giuseppe Conte -che gli aveva sfilato il partito- voleva far cadere Draghi a cui lui si era appiccicato peggio che di una cozza sugli scogli per salvarsi, lui piccolo figlio del Vesuvio, dalla procella della politica italiana. Poi si sa come è andata a finire. “Insieme per il Futuro”, costituito da 65 ingenui (il lettore tradurrà da solo l’eufemismo in un termine più volgare ma efficace) parlamentari che furono usati solo come pacco di scambio.

Poi la strada si fece più ardua del previsto perché nonostante la scissione con il gruppetto di (ir)responsabili super Mario fregò tutti, pure Di Maio e affondò il suo stesso governo pur avendo, ripetiamolo, una solida maggioranza per governare. A questo punto al Ministro degli Esteri non restava che gestire una emergenza imprevista e così insieme allo scaltro Bruno Tabacci fondò l’altrettanto inesistente “Impegno Civico” che naufragò alle elezioni prendendo un miserrimo 0,6 % ed eleggendo solo Tabacci in Lombardia. Alla fine dei giochi erano rimasti fregati Di Maio e il gruppo dei suoi 65 illusi, tutti abilmente messi nel sacco da Tabacci, da Letta e –sembrava –da Draghi.

In effetti Enrico Letta è stato un altro dei killer di Gigino perché gli ha offerto, peraltro in maniera molto confusa, solo il collegio uninominale a Napoli - Fuorigrotta, dove è stato ampiamente sconfitto, con il finto paracadute di una candidatura nel plurinominale di Campania 1 e Campania 2, dove il quorum del 3% non è scattato. Certo che sarebbe stato difficile per il Pd –dati i precedenti arpporti- candidarlo direttamente e per sicurezza in un plurinominale in un collegio “rosso” blindato e Gigino sapeva che stava rischiando parecchio. Dopo la clamorosa sconfitta per quasi due mesi l’ex capo politico dei Cinque Stelle si è eclissato. Ha cancellato i suoi account social e si è inabissato in un sospetto anonimato. Di lui si diceva che ormai era in procinto di tornare a fare il bibitaro al San Paolo e tutti i suoi nemici godevano nel vederlo umiliato e vilipeso ma lui se la rideva e ogni tanto filtrava qualche foto di feste e festini con la sua fidanzata Virginia Saba.

E veniamo a questi giorni. In realtà Gigino quando aveva firmato il contratto del Progetto Quirinale e successivamente quello di salvazione del governo Draghi si era riservato una postilla segreta e cioè quella che se tutto fosse andato male, come in effetti è avvenuto, Mamma UE lo avrebbe salvato tramite il suo nuovo mentore Mario Draghi che come ultimo atto aveva dato il suo nome a Josep Borrell, il “ministro” degli Esteri dell’Unione Europea. E alla prima occasione utile la cedola è stata reclamata dal ragazzo napoletano terrorizzato dal possibile ritorno sugli spalti vesuviani.

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di maiodraghi





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