Politica
Elezioni 2018: Renzi si gioca tutto con il programma dei 100 punti. Pd addio?

Se a carnevale ogni scherzo vale, in campagna elettorale ogni promessa, anche la più fantasiosa e inconsistente, è, se non lecita, almeno scontata. Così, a 30 giorni dal voto che rischia il record delle astensioni, con i sondaggi che martellano su un Pd col fiatone ben al di sotto del 25% Matteo Renzi gioca la carta della disperazione, quella del “più uno”, presentando a Bologna il programma di 41 pagine basato sugli 80 Euro per ridare smalto al suo partito arrugginito.
Un programma dallo slogan roboante: “Cento per cento credibile, sostenibile, realizzabile”: di fatto 100 punti di mance elettorali, zero riforme strutturali, nessuna traccia di un vero progetto politico innovativo per uscire dalla crisi e rilanciare l’Italia. Con l’aria che tira pro M5S dato quale primo partito e con il centrodestra col vento in poppa dato quale prima coalizione, l’imperativo di Renzi è uno solo: “resistere!” sopra il muro del 25% (replicando di fatto il risultato di Bersani sbeffeggiato a suo tempo da Matteo ancorato al miraggio del 40%...) con la speranza di un centrodestra non in grado di raggiungere da solo la maggioranza e anche con Forza Italia in gran vantaggio sulla Lega di Salvini. In caso contrario, grazie anche al Rosatellum-boomerang e alla guerra “a sinistra” fra Pd e Leu, il partito di Renzi dopo il voto dovrà abdicare al ruolo di “baricentro” nel gioco politico: addio governo, addio governissimo, mesto ritorno all’opposizione. Così il programma dei “100 punti” diverrà carta straccia travolto dal flop elettorale di un Pd a rischio implosione e con Renzi sotto processo, messo in croce.
In questo quadro, al segretario ex premier non basteranno neppure le liste elettorali blindate zeppe di pretoriani. Tutt’al più, qualora come probabile nessun partito e nessuna coalizione raggiunga la maggioranza in Parlamento, le truppe cammellate renziane potrebbero servire per dare l’ok (con la benedizione del Colle) – in alternativa al paventato governissimo Renzi&Berlusconi - a una ipotesi di convergenza “straordinaria” e “pro tempore” incentrata addirittura su Pd- M5S per un esecutivo tecnico in grado di riportare subito gli italiani alle urne con una nuova legge elettorale. Una alleanza “spuria” che contraddice le basi stesse dei grillini e le stesse ultime dichiarazioni di Renzi: “Mai al governo con gli estremisti”.
L’Italia è fantasiosa, mai dire mai. Ma non è questa la politica, rischiando di riproporre inciuci, mettendo una toppa peggio del buco. Anche perché i nodi, si sa, vengono sempre al pettine tanto più in un partito, il Pd, nato rocambolescamente da una fusione a freddo dopo la doppia cancellazione del Pci e della Dc: una amalgama mal riuscita, da sempre nel vortice di beghe interne e scissioni, nel balletto delle leadership fino al dominio renziano che, brandendo le primarie come clava, ha reciso le radici di sinistra non andando, però, oltre le “rottamazioni” dei contestatori – in primis gli ex comunisti - edificando infine un partito personale rombante ma dai piedi d’argilla. Qui siamo. Ma dove andiamo, anzi, dove va questo Pd né carne né pesce, dal riformismo spiccio e alla giornata, un neo liberismo pasticciato e confuso con il mercato icona cui aggrapparsi? Gli italiani “digeriscono” persino una legge elettorale-truffa e liste bloccate.
Ma gli elettori, per entrare il 4 marzo in un seggio e votare, vogliono una motivazione forte, stimolati almeno da una idea, se non da un ideale. Al Pd “monocolore” manca oggi il “progetto”, non c’è il “brand”, sfugge la “mission”. Mancano cioè quegli elementi basilari – al netto delle ideologie e dei tempi diversi – che nei decenni scorsi portavano gli italiani, in massa, a votare per la Dc, il Pci, il Psi. L’appello al “voto utile” non salverà l’Italia da populismi di ogni colore e non salverà né Renzi né il suo Pd giunto alla fine del suo ciclo. Persa la fiducia della gente resta la speranza di recuperala. Ma ci vuole, oltre l’umiltà dell’autocritica, capacità di riflessione, di proposta, di confronto, sui contenuti, non sulla fuffa. Lo sbocco del Pd post 4 marzo non sarà a sinistra. Dopo il voto inizia per il Partito democratico un lungo cammino nel deserto. Sempre meglio che restare in mezzo al guado, nelle sabbie mobili, andare a picco.