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Politica
Giustizia, Nordio va avanti ma da solo. Meloni ora tratta con Mattarella

Meloni tratta direttamente con Mattarella sui punti più delicati della riforma

Con i magistrati - assicura - non esiste alcun conflitto ("non ci sono scontri"). Ma anche Carlo Nordio non può negare che negli ultimi giorni il clima sul tema giustizia si sia surriscaldato. E le ondate di calore che stanno affliggendo il nostro Paese non c'entrano assolutamente. Gli attriti con le toghe sono cominciati con la questione legata all'abolizione dell'abuso d'ufficio che il Guardasigilli considera "una sorta di reato residuale" ("su oltre 5mila procedimenti ogni anno - chiarisce - alla fine arrivano 8 o 10 condanne, oltre tutto per reati connessi"). Per l'Anm, invece, "l’Italia si espone al rischio di procedure d’infrazione" perchè la cancellazione o il ridimensionamento dell'articolo 323 del codice penale "è in contrasto con le carte internazionale".    

Ma la vicenda è ormai anche politica. Dopo l'affondo di Matteo Salvini di ieri, pare proprio che la stessa premier Giorgia Meloni si sia incaricata di gestire direttamente la situazione, secondo Repubblica addirittura "commissariando" Nordio per trattare direttamente col Colle. Obiettivo: "Ridimensionare Carlo Nordio, senza sollevare polveroni. Sconfessarlo, ma solo quando è necessario e senza esagerare. E, soprattutto, avocare alcuni dossier teoricamente in mano al ministero della Giustizia, riportando la regia sotto Palazzo Chigi".

Secondo Repubblica, "i due si sono rinfacciati alcuni atteggiamenti sgraditi anche nelle ultime ore. Ma è chiaro che la premier cerca, finché può (e non è detto che non cambi idea già nelle prossime ore), di evitare una pubblica sconfessione, perché mostrarsi spaccati mentre ci si considera vittime di un accerchiamento giudiziario — a causa delle inchieste che stanno colpendo membri del governo — rischierebbe di indebolire ancora l’esecutivo".

Sempre secondo Repubblica, "la trattativa per modificarlo c’è. Discreta, ma intensa. È uno dei risultati dell’incontro al Quirinale tra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, anche se nessuna fonte ufficiale veicola questa versione. Gli uffici del Colle e quelli di palazzo Chigi, però, sono in costante contatto. Guidano la mediazione il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e i tecnici degli affari giuridici quirinalizi. Lo stato dell’arte, allora, si può sintetizzare così: il testo andrà in Aula senza modifiche, ma Fratelli d’Italia è disponibile ad aggiustamenti (in questo, sostenuta dalla leghista Giulia Bongiorno). Su questo terreno trattano le diplomazie. Il Colle mettendo in evidenza i nodi giuridici, che potrebbero entrare in conflitto con i nuovi trattati europei".  Situazione sottolineata anche da La Stampa, che ricorda come dal 2017 Mattarella non ha mai rimandato una legge in parlamento.

I nodi dello scontro fra Nordio e magistrati

Ma abuso d'ufficio a parte, le toghe, che sulla riforma della giustizia ritengono di aver solo "espresso riserve critiche" e non di aver esercitato "indebite interferenze", si sono sentite sotto tiro dopo quei due comunicati stampa partiti dal dicastero di via Arenula il 7 luglio scorso, uno sul caso Santanchè (per la notizia dell'indagine per bancarotta e falso in bilancio avviata a Milano a carico della ministra del Turismo), l'altro sulla vicenda del sottosegretario Delmastro, indagato a Roma per rivelazione del segreto d'ufficio. In riferimento al primo, fonti ministeriali, che hanno espresso "sconcerto e disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato", hanno definito "urgente" la riforma dell'iscrizione del registro degli indagati e dell'informazione garanzia. Una riforma che punta ad eliminare "questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva".

A proposito di Andrea Delmastro Delle Vedove, per il quale la procura di Roma si è espressa per l'archiviazione in relazione al caso Cospito, da via Arenula l'imputazione coatta disposta dal gip è stata bollata come un esempio di "irrazionalità" del sistema giudiziario di casa nostra. "Nel processo che ne segue - hanno sostenuto fonti ministeriali - l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stesso. Nel processo accusatorio il pm, che non è nè deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede. La grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude, infatti, con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio".    

Su quest'ultimo punto, Nordio ha ribadito il concetto, ricordando che "il codice Vassalli non ha portato alle estreme conseguenze il principio del processo accusatorio, che vuole il pm monopolista dell’azione penale. E ha lasciato al giudice la possibilità di quella che si chiama 'imputazione coatta'. Questo è in contrasto con i principi del processo accusatorio e secondo noi va riformato. Naturalmente finché la legge c’è va applicata. Quindi non c’è nessuna stranezza nel fatto che vi sia un’imputazione coatta, così come è stata fatta. Non è un’anomalia. L’anomalia è nell’ordinamento. O noi portiamo alle estreme conseguenze il codice Vassalli, e prendiamo i principi del procedimento anglosassone, o torniamo al codice Rocco che ha funzionato dignitosamente fino al 1989".

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