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Politica
Guerra all’ultimo sangue per un seggio: i trucchi della casta, big a rischio
Elezioni

Alle nuove elezioni caste e neo caste rischiano di andare a casa. Hanno voluto il taglio dei parlamentari ora ne pagano le conseguenze

Milioni di italiani stanno diventano più poveri ogni giorno ma non sarà lo stesso facile convincerli a votare per gli uni o gli altri. Silenzio allora, è iniziata la guerra all’ultimo sangue per un seggio! E’ partita la battaglia sotto traccia ma più cruenta del solito. Questo perché il termine “sicuro”, associato alla parola seggio, è abolito almeno per i grandi numeri. Il Rosatellum, la legge con la quale si vota, fa strage di sicurezze, tanto più oggi con una riduzione dei parlamentari che passano dai 630 ai 400 i deputati, dai 315 ai 200 i senatori. Le candidature andranno presentate entro la mezzanotte del 21 agosto, le macchine dei partiti girano a mille.

Molti però si chiedono che fine fanno i tanti big filo Draghi ora che il governo è caduto. Renato Brunetta, Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Teresa Bellanova, Luigi Di Maio sono a un bivio. Ad esclusione forse di Renzi gli altri parlamentari non hanno voti sufficienti per tentare l’exploit capitanando una propria lista, costruendo una cordata elettorale in così poco tempo per farsi eleggere.

Il caos della nuova legge elettorale. Perché sarà una strage di politici

Le strade sono diverse. Bisogna ricordare che c’è una soglia di sbarramento per i partiti, 10% per le coalizioni e il 3% per le singole liste e con rapporto tra collegi maggioritari (che eleggono il 36% dei candidati) e collegi proporzionali (ne eleggono il 64%) davvero molto complesso. In più all’interno delle coalizioni, le liste che non raggiungeranno l’1% dei voti non saranno conteggiate nel computo totale. Allo stesso tempo, una lista posizionata tra l’1% e il 3% non eleggerà parlamentari ma vedrà i propri voti, ripartiti in maniera proporzionale tra le liste della sua coalizione che hanno superato invece la soglia di sbarramento. Un vero caos: rischi di candidarti in un collegio, il tuo partito prende un sacco di voti lì ma non vieni eletto e viceversa. Poi bisogna raccogliere 36.750 firme per la Camera e 19.500 per il Senato per presentare le liste: almeno 750 per ogni collegio plurinominale. Non semplice ad agosto. Le firme vanno autenticate una per una e sottoscritte da elettori iscritti nelle liste dei Comuni che fanno parte del collegio plurinominale.

Le strategie dei big per farsi rieleggere

Esonerati dalla raccolta perché già presenti Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, PD, Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali, Italia Viva e Coraggio Italia. Proprio questa ultima forza politica di centro destra, capitana da Gaetano Quagliariello, Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, potrebbe essere l’approdo di Brunetta, Gelmini, Carfagna. Ma con il Paese in panne, la povertà che incalza, l’energia alle stelle, l’inflazione ai massimi non è facile avere un grande risultato se si è stati tanto allineati alle direttive Draghi. O è probabile che gli elettori scelgano in alternativa l’originale anche se a sinistra, il partito più governista di tutti: il Pd.

Il Decreto Elezioni approvato un mese fa prevede una norma ad hoc che fa sì che i gruppi parlamentari costituiti alla data 15 aprile 2017 siano esonerati dal presentare le firme.

L’esonero dalla raccolta firme vale anche per chi "abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del parlamento europeo spettanti all’Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e che abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale". Tradotto si salvano “+Europa-Centro Democratico” e chi in precedenza ha raccolto un numero di voti superiore all’1 %, come “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi. In sostanza ci si apparenta con questi oppure si devono raccogliere le firme.

Luigi Di Maio e i transfughi dell’ultima ora del M5S di “Insieme per il futuro” dovrebbero approdare sotto l’ala protettiva del Pd, presentandosi con il “Centro Democratico” di Bruno Tabacci. Il Pd presenterà una grande coalizione, il cosiddetto “campo largo” che lì comprenderà, anche perché l’ex ministro degli Esteri è da molto tempo nelle grazie dell’entourage della presidenza della Repubblica.

Discorso a parte vale per Renzi, Boschi e l’ex ministro all’agricoltura Teresa Bellanova. Il Pd sembra volere definitivamente distruggere il suo ex leader e non permettergli di coalizzarsi nel “campo largo”. “Toglie più voti di quanti ne porta”, ripete ad Affaritaliani.it un parlamentare Pd di prima fascia ben informato sulle strategie della segreteria. Ma Italia Viva qualche voto proprio lo ha e potrebbe tentare la partita in solitaria se non trova apparentamenti sensati. Vedremo se supererà la soglia del 3% per eleggere almeno i big.

Anche il M5S non deve fare alcuna raccolta firme ma il cataclisma è previsto lo stesso: nel 2018 aveva eletto 225 deputati e 111 senatori, ora rischia di non avvicinarsi ai 50 parlamentari totali. La scelta dei nomi è in mano a Giuseppe Conte e Beppe Grillo ma la situazione resta drammatica e confusa, senza una strategia chiara che possa portare fuori dalle secche. Come riuscire a sopravvivere dopo quanto accaduto? Per la maggioranza di loro sarà difficile essere rieletti.

Non dovrebbero sfuggire alla raccolta firme “Alternativa c’è” di Alessandro Di Battista (a meno che il leader non torni nel M5S), “Italexit” di Gianluigi Paragone, “Potere al Popolo”, “Verdi Europei”, “Ancora Italia”, il “Partito Comunista” di Marco Rizzo, “Azione” di Carlo Calenda (che potrebbe andare nel capo largo del Pd), il partito di sinistra del professor Ugo Mattei e un nugolo di altri partitini minori.

Quindi silenzio, sperando ci sia un vero cambiamento, quello che il Paese chiede da anni e non il solito silenzio del niente.

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