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Politica
Meloni? Vero cambiamento politico, ma attenta agli “amici pericolosi”

Giorgia Meloni e la Nuova Repubblica

 

Giorgia Meloni si è insediata da poco più di tre mesi al vertice del potere esecutivo italiano in una fase particolarmente complessa della storia repubblicana: epidemie, guerre, inflazione e formidabili problematiche economiche le pongono sfide particolarmente difficili.

Inoltre ha due ulteriori ostacoli sul suo cammino. Il primo è che è la prima donna a guidare un governo italiano. Il secondo è che - volente o nolente - è l’erede di quello che è stato il fascismo italiano, anche se si tratta di eventi accaduti cento anni fa.

Ha però dalla sua il fatto che è “vergine”, nel senso che non si è compromessa nella penultima legislatura come invece hanno fatto i suoi alleati naturali, Salvini e Berlusconi.

La Meloni poteva infatti far parte del primo esecutivo giallo – verde quando il centro – destra vinse le elezioni nel 2018 ed infatti si era prospettato per lei un ministero di peso, come quello della Difesa, ma ebbe la forza di rifiutarlo per non inquinare la sua carica identitaria con soggetti molto estranei come i Cinque Stelle di Luigi Di Maio e Beppe Grillo.

Non fu certo indotta in tentazione dal successivo esecutivo giallo – rosso di Giuseppe Conte e neppure da quello di Mario Draghi, il terzo della legislatura, che invece sedusse Lega e Forza Italia.

Gli elettori l’hanno dunque premiata portando Fratelli d’Italia stabilmente sopra il 30% e punendo i suoi alleati stabilmente sotto il 10%.

Da ultimo ci sono state le sirene interessate di Berlusconi e Tajani, che hanno prospettato un “partito unico” sulla scorta del vecchio Partito della Libertà, per le prossime europee ma la risposta della Meloni è stata forte, chiara e diretta: non se ne parla proprio, almeno finché FdI sarà l’unico vero partito conservatore stabilmente sopra il 30% che pare essere un numero magico per governare decentemente con l’attuale legge elettorale.

Detto questo, quali sono invece i pericoli che corre l’attuale capo dell’esecutivo?

Partiamo dal peccato originale di tutti i politici che conquistano il potere e cioè quel particolare stato d’animo - o meglio di coscienza - che gli antichi greci chiamavano ὕβρις e cioè l’hỳbris, la tracotanza arrogante che coglie chi ha sfidato gli dei e gli uomini ed ha vinto.

È molto facile cadere in tale delirio di onnipotenza ma le conseguenze sono quasi sempre fatali.

Tale stato psicologico porta a sottovalutare i pericoli, accentrare tutto il potere su di sé e non ascoltare gli elettori tirando rigorosamente dritto per la propria strada.

In Italia ne sono stati colpiti praticamente tutti i capi degli esecutivi ma la loro sopravvivenza politica è stata sempre legata alla loro capacità di controllarla.

Un esempio vivente è Matteo Renzi che superata la soglia del 40% con il Partito democratico è poi rovinosamente crollato, preda appunto dell’esaltazione del Potere.

Tuttavia per chi viene dalla gavetta e dal basso questo pericolo è particolarmente presente.

Uno dei suoi sintomi più eclatanti è ad esempio il rapporto conflittuale con i media, un rapporto difficile è vero, perché i giornalisti devono fare il loro mestiere di controllo dei confronti del potere, ma che occorre sapere gestire al meglio se non si vuole poi avere tutto il mondo contro.

Né aiuta pensare che nel mondo globalizzato di Internet il rapporto possa essere solo con le grandi trasmissioni televisive e i cosiddetti “giornaloni”. È un errore esiziale in “Googleworld”, quando basta un articolo per essere segnati per sempre.

Detto questo però la Meloni ha davvero una grande chance e cioè rappresentare un vero cambiamento politico proprio perché è sostanzialmente incontaminata.






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