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Politica
Pd, via i 'cacicchi' dalle liste. Così Schlein va ko. Dimissioni dopo il voto
Elly Schlein Paolo Gentiloni

Gentiloni traghettatore poi primarie a ottobre e sfida tra lo stesso commissario Ue (fino al primo luglio) e Andrea Orlando per la sinistra Dem

 

Lo strappo in Puglia di Giuseppe Conte ha lasciato il segno ed Elly Schlein, anche se certamente non vuol dar ragione al leader del Movimento 5 Stelle in pubblico, si prepara a fare liste soprattutto al Sud che davvero taglino in modo e radicale ogni rapporto con i cosiddetti "cacicchi" e "capibastone", soprattutto nelle due regioni governate dal Pd, ovvero la stessa Puglia e la Campania del nemico interno Vincenzo De Luca. La segretaria vuole dare un segnale forte di rinnovamente con moltissime candidature esterne al partito che nulla hanno a che fare con i famigerati ras del voto.

Il problema - spiegano fonti Dem qualificate - è che con questa operazione di "pulizia" Schlein rischia di perdere moltissimi voti nelle circoscrizioni meridionali, isole e in parte anche al Centro. Venendo meno pacchetti di voti sulla carta "sicuri" candidando esponenti legati ai "capibastone" il pericolo di un flop elettorale è altissimo, nonostante la segretaria sarà in campo in prima persona come terza in lista in tutta Italia. Gli ultimi sondaggi, dopo la ripresa di inizio anno, danno il Pd in pericolosa discesa, nettamente sotto quota 20% e intorno al 19%.

Non solo. I 5 Stelle del "cinico" Conte - come lo definiscono i Dem al loro interno - si stanno pericolosamente avvicinando. E un sorpasso del M5S sul Pd sarebbe davvero clamoroso e impensabile solo fino a poche settimane fa. Ma tra i parlamentari del Partito Democratico già si disegnano gli scenari futuri del dopo 8-9 giugno. Se Schlein dovesse davvero fermarsi attorno al 19% o perfino sotto questa quota, colpa anche del flop al Sud, con i 5 Stelle con il fiato sul collo, a quel punto in direzione nazionale verrebbe posta da parte della minoranza il tema delle dimissioni della segretaria, colpevole di aver puntato sul campo largo con i grillini, consentendo a Conte di eleggere la sua prima presidente di regione (Alessandra Todde in Sardegna) per poi vedere naufragare il progetto in modo clamoroso partendo proprio dalla Puglia che con Michele Emiliano aveva fatto da laboratorio dell'alleanza Pd-M5S.

In direzione verrebbe chiesta l'immediata convocazione dell'assemblea nazionale con all'ordine del giorno il "processo" a Schlein. E la minoranza di Stefano Bonaccini e di Lorenzo Guerini insieme a pezzi importanti della maggioranza del partito che alle primarie ha appoggiato Schlein (come Dario Franceschini che sta sempre dalla parte opposta dei perdenti) hanno i numeri per votare le dimissioni della segretaria. Non è affatto fantapolitica ma i ragionamenti che si fanno all'indomani dello strappo di Conte in Puglia e alla luce dei sondaggi sempre più negativi. A quel punto, quasi certamente, Paolo Gentiloni (libero dal primo luglio dagli impegni a Bruxelles) verrebbe chiamato a fare il traghettatore fino alle prossime primarie che quasi certamente si terrebbero in autunno.

E la sfida - danno per certo nel Pd - sarebbe tra lo stesso Gentiloni come leader dei moderati-riformisti, quindi area Bonaccini, Guerini ma anche Franceschini, e Andrea Orlando, l'ex ministro del Lavoro che rappresenta la sinistra del partito e che avrebbe dalla sua parte oltre a Schlein anche tutti gli ex Mdp-Articolo 1 tornati nel Pd e quindi Roberto Speranza e Pierluigi Bersani, oltre a Massimo D'Alema. Ovviamente con Orlando anche Goffredo Bettini, storico capo della sinistra Dem romana e fautore dell'alleanza con il M5S. Da capire la posizione di Nicola Zingaretti. Ma a questo punto la rivoluzione nel Pd, salvo improbabili colpi di scena nelle urne, viene data praticamente per scontata.






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