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Politica
Se non si torna a fare politica sul serio, resta solo il carisma del leader

Continua a far discutere la modalità decisionista con la quale Mario Draghi non solo ha zittito le legittime richieste del ministro Dario Franceschini in merito al bonus facciate, ma, a quanto riferiscono gli insider governativi, ha pure preteso un'approvazione al buio della manovra da parte dei due principali azionisti della sua eterogenea maggioranza, Pd e M5S. Un Consiglio dei Ministri che vota senza aver prima letto il testo assomiglia più a un atto di fede da regime teocratico che una svolta in senso presidenzialista, che sarebbe pure un fatto estremamente rilevante.

Comprensibilmente, sul tema si è espresso con un accorato editoriale Marco Travaglio, che ha persino azzardato un parallelo col fascismo, allorché Benito Mussolini fece affiggere negli uffici pubblici cartelli che recitavano “Qui non si fa politica: si lavora”. Un'esaltazione dell'etica pragmatica e degli uomini del fare che porta con se' il disprezzo delle dinamiche poltiche che, nella democrazia rappresentativa, ha il suo fulcro nei partiti. A ben vedere, a un secolo di distanza non è che il clima sia poi molto diverso, come Travaglio ha ribadito anche a “Otto e mezzo”, nonché sul sito del Fatto Quotidiano (cosa non banale, perché evidentemente il direttore dell'online Peter Gomez questa volta sposa la linea di Travaglio, cosa vivaddio non automatica tra teste pensanti).

Con la sua brillante prosa, Travaglio lancia una provocazione: già che si parla di sciogliere Forza Nuova, perchè non sciogliere tutti i partiti, se sono così inutili e fastidiosi? C'è però un elemento ulteriore da sottolineare: sono i partiti stessi che si stanno autosciogliendo ipso facto, vittime non sempre consapevoli della loro ormai evidente crisi di credibilità. E anche questo assomiglia molto al contesto sociale che vide nascere il fascismo, come Mario Scurati ha ben raccontato con il suo bestseller M.

È curioso che la polemica sui modi spicci di Draghi arrivi nella stessa giornata in cui la Corte Costituzionale fornisce le motivazioni per le quali il frequente uso da parte di Giuseppe Conte dei Dpcm non ha violato la Costituzione. Politicamente, la sostanza non cambia: sono almeno dieci anni che la politica è battuta in ritirata, lasciando all'uomo forte (chi più, chi meno) il compito di levare le castagne del fuoco. Qui siamo ben oltre la sciocchezza sesquipedale del “Premier non eletto dal popolo”: il problema è molto più profondo, perché si è ormai affermata l'idea che la democrazia parlamentare, con i suoi riti e i suoi tempi, sia poco più che un fastidioso orpello, che rallenta il conseguimento degli obiettivi. Si tratta di una situazione molto pericolosa, soprattutto nella contingenza del dramma rappresentato dal Covid-19, che in vari modi e accezioni ha intaccato la nostra libertà.

Nè Draghi né Conte possono essere neanche lontanamente accostati a Mussolini, così come nulla del genere si può dire per Mario Monti, il primo dei Premier-redentori arrivati a salvare il Paese dal baratro della malapolitica, e tantomeno per Beppe Sala, che tra i sindaci è la figura che più si avvicina al profilo manageriale e pragmaticamente efficiente di Draghi. Nessuno di loro è la causa, bensì la conseguenza di una clamorosa ritirata dei partiti, certificata anche dall'astensionismo-record dell'ultima tornata amministrativa. D'altra parte, chi ha guardato con attenzione la recente sfilata di candidati francamente improbabili non può stupirsi del fatto che una buona metà degli elettori li abbia sdegnosamente snobbati. Quando la politica viene fatta seriamente, proponendo idee che incidono concretamente nella vita dei cittadini, gli italiani rispondono eccome, come dimostra la vasta partecipazione alla raccolta di firme per i referendum su eutanasia e depenalizzazione della cannabis.

Purtroppo si tratta di eccezioni sempre più rare e, in uno scenario del genere, meno male che ci sono i Draghi e i Sala che con il loro carisma personale suppliscono le funzioni politiche che i partiti faticano sempre di più ad esercitare. Nel lungo periodo, tuttavia, bisognerà pur trovare il modo di uscire dall'emergenza, che è anche un'emergenza democratica. Bisogna tornare a fare politica e la politica deve tornare a dirigere la nostra quotidianità, ma questo sarà possibile solo con uno scatto di dignità che ridia credibilità, standing e autorevolezza ai rappresentanti del popolo, che non possono limitare a canticchiare “meno male che il leader c'è”. 

 

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