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Politica
Spese militari, il "pacifista" Delrio isolato nel Pd
Enrico Letta e Graziano Delrio

Spese militari, il partito meno in affanno è il Pd. Nessun ‘effetto Delrio’ tra le fila dem

L’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil rischia seriamente di terremotare la maggioranza. Magari non nelle prossime ore (già in serata si tenterà di raggiungere un accordo durante la video-call con i capigruppo presieduta dal ministro per i Rapporto col Parlamento Federico d’Incà), con l’ordine del giorno speculare a quello già approvato alla Camera che FdI vuole presentare al Senato, ma sicuramente quando le spese dovranno essere scritte nero su bianco nel Def. Sarà allora che inizieranno i veri guai per i partiti.

Non per tutti, però. Di sicuro non per quello capeggiato da Giorgia Meloni. Ma per la Lega, vista la linea altalenante di Matteo Salvini, e per il M5s, con Giuseppe Conte già sugli scudi in vista dell’approvazione del decreto Ucraina a Palazzo Madama, sicuramente sì.

E per il Partito democratico? Quanti Graziano Delrio ci sono tra le fila dem? L’ex capogruppo Pd alla Camera si è astenuto sull’ordine del giorno mirato all'aumento della spesa militare e votato alla Camera, convinto, come ha spiegato in una recente intervista a Repubblica, che “la direzione da prendere sia fermare la corsa al riarmo, non stimolarla”: “Se il contesto in cui ci muoviamo è quello della Difesa europea – ha argomentato – trovo folle che ogni nazione aumenti le spese militari ciascuna per proprio conto”.
In realtà, il partito guidato da Enrico Letta, a quanto risulta ad Affaritaliani, è quello che meno di tutti subirà contraccolpi da tale annosa questione. Tra i piddini, tra l’altro, c’è chi fa notare che le considerazioni fatte da Delrio sono condivise dallo stesso Letta: “Anche il segretario sempre su Repubblica ha detto letteralmente che ‘ha poco senso che ogni Paese spenda di più se non si introduce una vera Difesa europea’”.

Certo, le parole del Papa un qualche peso o forse ripensamento tra i democrat potrebbero produrlo. E poi c'è l’Anpi, che è sempre stato un interlocutore del Pd. E, invece, a sentire un democratico di lungo corso, “sulle posizioni di Delrio, che tra l’altro non credo metterebbe mai in difficoltà il Governo, potrebbero ritrovarsi al massimo 12 -13 parlamentari tra Camera e Senato. Non più di un 10 per cento”.

Spese militari, quanti Delrio si contano nel Pd?

Tra questi potrebbero esserci esponenti a lui legati quali Stefano Lepri o Andrea De Maria, che è sempre stato su una posizione di sinistra, ma innervata di principi cattolici. Non Debora Serracchiani, però. E’ vero che è molto vicina all’ex ministro dei Trasporti, “ma ormai è sempre più autonoma”. E, in effetti, da capogruppo Pd alla Camera, l’ex  governatrice del Friuli Venezia Giulia ha detto parole chiare: ha parlato di scelta “delicata” pure per il suo partito (“Per molti dei miei colleghi è stata una scelta difficile, complicata, io li ho ringraziati perché hanno mantenuto fermi gli indirizzi del gruppo"), ma ha anche sottolineato come sia altrettanto importante “sapere che in questo momento non puoi permetterti di mettere in difficoltà un Governo che sta affrontando dei passaggi delicatissimi”.

Di sicuro più vicina a Delrio che al ministro della Difesa Lorenzo Guerini si colloca Laura Boldrini che, dopo l’approvazione del decreto Ucraina alla Camera, ha scandito su Twitter il suo “no all’invio di armi”.
Alla lista si può aggiungere inoltre Erasmo Palazzotto, da poco traslocato da Leu nel Pd e che proprio sul dl Ucraina si è astenuto alla Camera. Sulla stessa lunghezza d’onda infine c’è l’eurodeputato Pierfrancesco Majorino che, nei giorni scorsi intervistato dal Fatto Quotidiano, ha bollato come una “scelta sbagliata” l’aumento della spesa militare, condividendo invece quella di mandare armi agli ucraini.
“Si tratta di una frangetta legittima di discussione democratica”, tira le somme con Affari il parlamentare dem. Che per dare un’idea delle proporzioni cita l’intervento di oggi proprio di Guerini su La Stampa: “E Guerini significa la corrente di Base riformista – sottolinea –: parliamo quindi di una trentina di deputati e una quarantina di senatori”.

Spese militari, neppure l’Anpi scalfisce la linea Letta

La verità, come raccontano al nostro giornale, è che “Letta si è mosso bene, nel rispetto delle nostre radici culturali, sia per quanto riguarda l’anima che affonda le sue radici nel Pci e sia guardando a quella cattolica”. Nella cultura della prima, legata alla Resistenza e all’antifascismo, “si sa perfettamente che ci sono dei momenti in cui la pace si difende con le armi”.  Sull’altro versante, poi, non è sfuggito ai più per esempio che il segretario, ricordando Beniamino Andreatta nell'anniversario della sua scomparsa, ha ripreso su Twitter un post dell’Agenzia Arel in cui l’economista osservava che "non vi è prospettiva di un mondo piu' civile se le potenze sfuggono le responsabilità, se la sicurezza collettiva non trova armi e soldati per far vivere sul campo la pace": “E Andreatta – spiegano ad Affari - è stato sì ministro della Difesa, ma era cattolico, il padre politico di Prodi e anche di Letta, un ideatore dell’Ulivo”.

Rimane l'Anpi, però. Un grado permeabilità delle posizioni dell’Associazione non è da escludere tra gli esponenti del Pd. Anche su questo nel corpaccione dem non hanno dubbi: “Come è giusto che sia, esiste un pacifismo estraneo alle due radici culturali che convivono nel Partito democratico. E questo vale anche in un certo mondo cattolico movimentista. Ma qui parliamo di cultura di governo. Al netto del fatto che, poi, su alcune questioni fondamentali saremo sempre uniti, come ha spiegato lo stesso Letta”.

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