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Paolo Nori in tour per parlare di letteratura russa. Vola il suo romanzo “Chiudo la porta e urlo”
Lo scrittore ha un fitto programma di appuntamenti in cui incontrerà i lettori per raccontare “Delitto e castigo”. Intanto ecco la recensione del suo ultimo romanzo

Paolo Nori 'Chiudo la porta e urlo' (Mondadori)
Un calendario ricco di eventi quello che caratterizza i Pubblici discorsi di Paolo Nori nelle principali città italiane, per un autunno all’insegna della letteratura russa. Il 24 settembre l’autore è atteso a Bergamo per Moltefedi al Teatro Borgo Santa Caterina alle 20.45: titolo dell’incontro La legge delle altalene. Il 26 settembre si sposterà fino a Casertavecchia, dove ai Giardini della Cattedrale alle 19.30, per Chimerafest, parlerà del suo romanzo Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Utet). Pubblici discorsi - come li chiama lui - prosegue quindi il 28 settembre a Milano nella prestigiosa cornice del Teatro alla Scala, dove si terrà la prima di Anna A. di Silvia Colasanti a partire dal libretto scritto da Nori, regia di Giulia Giammona, direttrice d’orchestra Anna Skryleva.
La nuova settimana inizia con lunedì 29 settembre sempre a Milano, questa volta al circolo Arci Bellezza alle 18.30 e alle 21.30, con il racconto di Delitto e castigo. 2 ottobre ancora a Milano nella stessa sede e agli stessi orari per una replica del discorso, mentre il 13 ottobre il suo Delitto e castigo farà tappa a Torino all’Hiroshima mon amour, alle 21.30. Lunedì 10 novembre Nori sarà ospite al Locomotiv di Bologna alle 21 sempre con il racconto di Delitto e castigo, spettacolo che proseguirà il 14 novembre a Fiesole. E molte altre date sono attese…

Nel panorama letterario italiano, l’opera di Paolo Nori rappresenta da tempo una voce inconfondibile, ironica e struggente, capace di abbracciare la quotidianità con lo stesso fervore con cui scandaglia la letteratura russa. Con Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 2024) lo scrittore parmigiano si confronta con la figura di Raffaello Baldini, poeta romagnolo dalla voce schiva e segreta, tra i più originali del secondo Novecento. Il libro è entrato a far parte della cinquina finalista del Premio Strega 2025, proposto da Giuseppe Antonelli con la motivazione che ne evidenzia il cuore doppio: «In Chiudo la porta e urlo la vita diventa letteratura, la poesia diventa racconto... la doppia anima delle poesie di Baldini si riflette in una lingua che del dialetto trattiene il ritmo interiore».
Il romanzo si presenta anche in versione ascoltabile su Audible letto dall’autore stesso. E, come spesso accade con Nori, l’ascolto amplifica la musicalità della scrittura: le pause, le ripetizioni, gli anacoluti trovano nuova forza nell’oralità di chi ha fatto della parola una seconda pelle. “Ascoltare oltre che leggere Chiudo la porta e urlo fa comprendere tutta la musicalità e il ritmo di questo libro”, si legge tra le righe della critica più attenta.

La struttura è quella, ormai nota e riconoscibile, dei precedenti lavori di Nori: Sanguina ancora, dedicato a Dostoevskij, e Vi avverto che vivo per l’ultima volta, incentrato su Anna Achmatova. In questo nuovo viaggio letterario, l’autore racconta Baldini, ma anche se stesso. Non si tratta di una biografia classica, quanto piuttosto di un flusso narrativo, frammentario, fatto di digressioni e di incontri, di citazioni poetiche e ricordi familiari, di aneddoti personali e riflessioni sull’arte di scrivere. «Io ho l’impressione che leggere Baldini significhi rivedere la tua città, i tuoi amici, tua madre, il tuo cane, le chiavi vecchie che non aprono più niente, ma ti hanno aperto tutto», scrive Nori in uno dei passaggi più emozionanti.
Il titolo stesso, Chiudo la porta e urlo, trae spunto dai versi e dalle emozioni di Baldini: un gesto estremo, isolato, che Nori trasforma in emblema narrativo del bisogno di esprimere ciò che resta indicibile. Il cuore del romanzo pulsa intorno a una domanda ricorrente: “Quand’è che si vive?”, un interrogativo che accompagna Nori fin dall’adolescenza e che torna ossessivo nella sua letteratura. Confida nell’intervista ad Affaritaliani.it: “Io non credo di essere mai stato felice, anzi, non voglio proprio, essere felice, perché la felicità, in dialetto parmigiano, non esiste. Non si dice, in parmigiano, «Sono stato felice», si dice «A son sté bén», son stato bene, e, è una cosa che ho scoperto che avevo già 42 anni, il mio italiano ha le radici nel dialetto parmigiano. Sono contento che nei dodici dello Strega ci siano due libri dedicati a due poeti; se ripenso però a una delle prime poesie che ho letto, che comincia coi versi «Stupefatto del mondo mi giunse un’età / che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo» io mi dico che non c’è bisogno di me, per avvicinare i lettori alla poesia, e che l’impresa sarebbe tenerli lontani, dalla poesia”.

Raffaello Baldini, nato a Sant’Arcangelo di Romagna nel 1924 e scomparso nel 2005, fu giornalista a Panorama e autore tardivo. Esordì in poesia solo superati i cinquant’anni, ma con una forza che disarmava: scriveva nel dialetto della sua terra, traducendosi in italiano, mantenendo intatto il battito ritmico dell’origine. Nori non tenta di incasellarlo, ma lo restituisce vivo, presente, urgente. “Quando ho letto Baldini ho subito pensato a Puškin: la stessa semplicità e la stessa potenza” afferma lo scrittore, per il quale ogni libro, russo o romagnolo che sia, è sempre anche un libro sulla propria vita.
La narrazione si fa così plurivocale: accanto a Baldini, ritroviamo Togliatti (la compagna), Battaglia (la figlia), la nonna Carmela, la città di Parma. Ma anche Puškin, Achmatova, Tolstoj, Dante, Pavese. È un romanzo “a circonvallazione”, come lo ha definito Vivian Lamarque, eccessivo e intimo, caotico e preciso. «Una biografia particolarissima che è insieme un viaggio filologico nei testi di Baldini e un’autobiografia emotiva» scrive la Rivista Blam. E Nori stesso, con disarmante semplicità, spiega così la sua vocazione: “ho trovato il coraggio di provare a vedere se riuscivo a far diventare la mia passione, la letteratura, il mio mestiere”.

Il tratto distintivo del romanzo è la sua forma ibrida: una sinfonia di frammenti che si rincorrono, si richiamano, si contraddicono. La prosa è colloquiale, sincopata, punteggiata di sospensioni. «È quello che bisogna mettere nei romanzi: le cose che non si raccontano, che non si dicono» scrive Nori, citando anche la Lattanzi. La “coglionaggine”, come la chiama con ironia (riprendendo Baldini), diventa allora cifra stilistica e poetica.
C’è, in questo libro, un desiderio struggente di letteratura che non diventa mai retorico. Baldini e Nori, apparentemente distanti, si incontrano nel linguaggio delle cose piccole. Come scrive Nori: «i grandi autori che mi piacciono, mi fanno vedere le cose che sono in casa mia come se le vedessi per la prima volta, non rendono visibile l’invisibile, rendono visibile il visibile».
Perché leggere questo libro? Perché Chiudo la porta e urlo è un atto d’amore verso la poesia e verso le vite vissute sottovoce. È un inno alla marginalità, all’ironia, alla malinconia che diventa resistenza. È un testo da leggere e da ascoltare, capace di far ridere, commuovere e pensare. Nori ci prende per mano e ci accompagna nella sua casa piena di parole, dove Baldini siede in silenzio, con il suo dialetto che diventa lingua madre per tutti.
Nato a Parma nel 1963, laureato in letteratura russa, Nori è scrittore, traduttore, saggista. Ha pubblicato romanzi come Bassotuba non c’è (1999), Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), I malcontenti (2010), Sanguina ancora (2021), Vi avverto che vivo per l’ultima volta (2023). Ha tradotto opere di Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Čechov e molti altri. Con Chiudo la porta e urlo completa idealmente una trilogia dedicata agli autori che ama: Dostoevskij, Achmatova, Baldini. Un’ode a chi scrive “come se scrivere fosse vivere”.