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Palazzi & potere
Strategie militari: Nato, l’Alleanza si adegua con due nuovi centri di comando

L’ultima riunione dei ministri della Difesa dei Paesi della Nato ha deciso importanti modifiche della struttura di comando dell’Alleanza. Introducendo due distinti comandi aggiuntivi, il nuovo assetto migliorerà sia la sicurezza delle vie di comunicazione nell’Atlantico del Nord che lo spostamento delle forze militari in territorio europeo.

Un adattamento necessario per il fianco orientale e meridionale
L’aggiustamento approvato dalla ministeriale Nato dell’8 novembre risponde all’esigenza di adoperare i giusti strumenti per fronteggiare in maniera efficace vecchie e nuove sfide in materia di sicurezza. Alla luce del contesto attuale, come dichiarato dal segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg, è necessario garantire sia la difesa collettiva dell’Europa sia la capacità di affrontare crisi tramite operazioni dispiegate in Paesi terzi, nonché trattare anche ambiti come quello cibernetico. Nel concreto, i due centri di comando sul Nord Atlantico e sulla mobilità delle capacità militari in Europa hanno le potenzialità per contribuire allo sviluppo delle operazioni condotte dalla Nato su entrambi i fianchi, orientale e meridionale, realizzando così un approccio a 360 gradi alle sfide alla sicurezza alleata.

L’impegno della Nato è attualmente maggiore nella prima area geografica, ovvero ad Est, dal momento che la comprensione della minaccia russa è in un certo senso più semplice rispetto al complesso quadro mediterraneo. Ciononostante, sia per quanto attiene ai rapporti con la Russia che alla situazione attuale dell’Afghanistan, dove è presente la missione alleata Resolute Support, l’azione della Nato presenta notevoli margini di miglioramento.

Spostando l’attenzione sull’area meridionale, è ancora frammentato l’approccio adottato dalla Nato in tema di prevenzione e gestione di crisi e conflitti nelle regioni mediorientali e nordafricane e sulle questioni riguardanti la crisi migratoria e il terrorismo di matrice islamica radicale.

In quest’ottica, l’introduzione dei due nuovi comandi aggiuntivi contribuisce a rendere la struttura di comando più efficace nello spostare capacità militari verso il fianco orientale o quello meridionale, migliorando così le capacità di intervento dell’Alleanza in entrambi i contesti. Tale innovazione, come sottolineato durante un seminario organizzato dallo IAI nell’ambito del progetto Defence and Security Matters 2017, è espressione della necessità di adattare di nuovo le strutture operative della Nato, dopo la trasformazione degli Anni Novanta e 2000 volta soprattutto alle operazioni di gestione delle crisi ‘fuori area’.

Inoltre, l’introduzione delle due strutture di comando è in grado di incentivare una migliore comunicazione interna tra gli Stati dell’organizzazione, essenziale per una effettiva strategia di deterrenza. A tale proposito, potenziali sfide provengono non solo dall’ambiente esterno: ci sono dubbi sull’affidabilità della Turchia a causa delle sue particolari relazioni con la Russia (e da ultimo in seguito alla decisione di acquistare il sistema missilistico russo S-400). Nonostante queste preoccupazioni non siano infondate, la Nato continua a cercare un rapporto costruttivo con la Turchia, pur di non perdere un alleato dall’enorme peso strategico.

Coesione politica e investimenti economici
Sebbene l’instaurazione dei due comandi possa avere ripercussioni benefiche per il coordinamento delle attività tra gli Stati alleati, molto dipenderà da altri due elementi politico-militari. In primo luogo, una rinnovata incisività della postura Nanto non può prescindere dalla coesione alleata nel riconoscimento della minaccia e nell’armonizzazione degli sforzi. I notevoli passi avanti in tal senso fatti negli ultimi anni, rispetto alle “sorprese strategiche” del 2014 con l’intervento russo in Crimea e l’ascesa dell’Isis, il sedicente Stato islamico, non sono ancora completamente soddisfacenti poiché il processo decisionale alleato è ancora relativamente lungo e complesso.

Analogamente, l’efficacia delle attività Nato è subordinata anche al raggiungimento di determinati obiettivi nel campo degli investimenti economici nella difesa. In tale ambito, oltre all’entità dei singoli contributi statali, è il coordinamento tra le pianificazioni definite su base nazionale dagli Stati membri secondo le priorità Nato che riveste peculiare importanza. Ciò è testimoniato dal fatto che la consistente spesa per la difesa di alcuni alleati (quali ad esempio Grecia e Turchia) non è sempre funzionale agli sviluppi operativi parte degli obiettivi Nato.

I livelli di capacità cui punta l’Alleanza vedono invece un forte contributo da Stati membri che soddisfano le richieste Nato pur spendendo molto meno del 2% del Pil in difesa – obiettivo fissato dal Vertice dei capi di stato e di governo alleati nel 2014 -, come nel caso della Germania. Per quanto riguarda l’Italia, la ridotta spesa militare rispetto agli obiettivi Nato – intorno al 1,1% di Pil – non le ha impedito finora di mettere a disposizione dell’Alleanza significative capacità militari, ma sta mettendo a rischio la possibilità di progredire nello sviluppo dello strumento militare.

Sebbene alcuni Stati si comportino in maniera virtuosa per consentire il perseguimento degli obiettivi Nato, un maggiore allineamento economico degli investimenti genererebbe sensibili progressi in tal senso.

Nato e Ue verso una “Schengen militare”?
Semplificando la gestione e lo spostamento delle capacità militari sul territorio degli Stati membri, in particolare europei, la Nato sembra voler dare vita a una sorta di “area Schengen” militare, effettivamente utile e necessaria per la mobilità e la logistica delle forze armate.

La completa attuazione di questo progetto appare però inficiata dall’assenza di una legislazione adeguata, che può essere realizzata solo con il coinvolgimento dell’Unione europea. Nonostante sia difficile riuscire ad ottenere una convergenza tra le varie normative e regolamentazioni nazionali a livello Nato, la presenza di uno spazio comune transatlantico potrebbe contribuire a una più stretta integrazione in materia di difesa, in sinergia con l’esempio europeo fornito dalla Pesco.

I due centri di comando rappresentano, dunque, parte concreta della risposta della Nato alle nuove dinamiche presenti sulla scena internazionale, e un passo in avanti verso un maggiore coordinamento tra le politiche e le scelte degli alleati.

Andrea Aversano Stabile, Istituto Affari Internazionali

 

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