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Politica
Pd, dopo la vittoria di Schlein i vecchi volponi si riposizionano. La mappa

Pd, verso l'assemblea nazionale: la segreteria Schlein prende forma

“Come si cambia per non morire” canta Fiorella Mannoia. Ed è un refrain azzeccatissimo al momento in casa dem, soprattutto dalle parti dei progressisti battuti ai gazebo. Tra questi tantissimi big che non hanno paura di “capire che domani è un altro giorno”. Un domani che è già arrivato e che prenderà una forma ancora più definita proprio in questa settimana.

Già domenica prossima il volto del Pd targato Schlein sarà molto più nitido. Si riunirà infatti l'assemblea nazionale per votare la direzione, il tesoriere e, naturalmente, il presidente. Sarà Stefano Bonaccini oppure no? Una questione per nulla secondaria per iniziare a tratteggiare il nuovo corso. Un conto infatti è un Bonaccini nei panni di vicesegretario, e quindi molto più imbrigliato nella linea dettata dalla segretaria, un altro nei panni di presidente, posizione che gli concederebbe una maggiore autonomia.

Ma non c’è solo questo ruolo da definire, ovviamente. Dagli spazi nella stessa direzione e poi in segreteria, passando per quelli nei gruppi parlamentari, ci sono innanzitutto da piazzare i fedelissimi della nuova segretaria. Da Chiara Gribaudo a Chiara Braga, passando per la consigliera del Lazio Marta Bonafoni, Alessandro Zan, Marco Furfaro (per lui in ballo ci sarebbe la casella da vicesegretario) e Francesco Boccia.

Intanto i sostenitori della mozione Bonaccini sono in modalità stand by. Un’attesa che però non significa immobilismo. Nella galassia degli sconfitti alle primarie, che conta una lunga schiera di amministratori locali oltre che di big storici del partito, infatti, i riposizionamenti sono già scattati.

Anche se il carro del vincitore, c’è da dire, non fa gola a tutti. Dopo l’addio di Beppe Fioroni, sull’uscio c’è pure l’ex capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci. Non ha ancora preso una decisione, ma le prossime scelte del Nazareno sull’Ucraina potrebbero essere dirimenti, soprattutto se si dovesse cambiare rotta sul piano internazionale. Per un Carlo Cottarelli che nelle ultime ore non le ha di certo mandate a dire a Elly, senza nascondere dubbi e perplessità sul nuovo corso che si apre, c’è invece un Giorgio Gori che diventa dialogante. Il sindaco di Bergamo, infatti, a primarie ancora lontane, aveva lanciato il suo avvertimento: “Se vince Schlein potrei lasciare il Pd”. Oggi, invece, la sua postura è più morbida, tant’è che afferma che dipende da Schlein “se il Pd sarà ancora il mio partito”.

Tra i sindaci di peso non si può non menzionare Dario Nardella, che è stato il coordinatore nazionale della campagna di Bonaccini e che è molto corteggiato proprio dal fronte Schlein quale cerniera con i riformisti. Non a caso è considerato un nome in pole per la presidenza del partito. Il primo cittadino di Firenze, intanto, si è ritagliato il ruolo, non del tutto disinteressato, di mediatore tra le anime: “Il Pd è nato 15 anni per tener insieme radicali e riformisti: dobbiamo tenere insieme i riformisti dentro il Pd e sono convinto che Schlein abbia questa sensibilità”, ha detto nei giorni scorsi su Rai Radio 1.  

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