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Politica
Quirinale: Rosy Bindi, una sfidante per contrapporsi a Silvio Berlusconi

Una donna al Quirinale? Sarebbe una svolta epocale e la figura dell'ex ministra della Salute riscuote molti consensi

La marcia verso l’elezione del Presidente della Repubblica è già molto complessa per varie ragioni politiche, ma sarebbe un grave errore trascurare l’elemento rappresentato dalla questione di genere. A spingere su un tema che affaritaliani.it ha già trattato a proposito della candidatura di Paola Severino è anche un appello firmato da un gruppo di donne "di orientamenti politici diversi" (ma tutte di area progressista), che hanno individuato in Rosy Bindi la figura ideale per quella che sarebbe una svolta davvero epocale nella storia della Repubblica.

Berlusconi-Bindi: una sfida che parte da lontano

“Una donna capo dello Stato? Lo dico dai tempi di Tina Anselmi”, ha detto la diretta interessata in un’intervista all’Espresso, ma sarebbe davvero curioso se fosse proprio lei la sfidante di Silvio Berlusconi, in quello che secondo vari analisti sembra profilarsi come il duello ad oggi più probabile. Tra i due c’è infatti un’antica ruggine e non estranea al tema del rapporto tra i generi. Nel 2009 il fondatore di Forza Italia le rifilò una stoccata molto famosa quanto poco galante, definendola “più bella che intelligente” nel corso di una puntata di “Porta a Porta”. La risposta dell’ex ministra della Sanità fu altrettanto puntuta (“Sono una donna che non è a sua disposizione”) ed alimentò la polemica sui rapporti tra i generi, che per Berlusconi avrebbe riservato altri passaggi delicati.

Paladina della sanità pubblica

Nata il 12 febbraio del 1951 a Sinalunga, nel Senese, Rosaria detta “Rosy” ha alle spalle una lunga militanza politica, iniziata nell’Azione Cattolica e approdata fino ai massimi livelli istituzionali. Laureata in Scienze Politiche alla LUISS, ricercatrice in diritto amministrativo alla Sapienza di Roma e poi nella facoltà di Giurisprudenza di Siena, era accanto al docente democristiano Vittorio Bachelet (del quale era assistente) nel momento del suo assassinio da parte delle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980. Dopo l’esperienza nella DC, è entrata nel PPI, partecipando alla nascita dell’Ulivo. Nel 1996 è entrata a far parte del Governo Prodi come ministro della Sanità, ruolo che ha mantenuto anche nei successivi esecutivi D’Alema I e II. In questa importante veste, nel 1999 ha varato la riforma del Servizio Sanitario Nazionale che, tra l’altro, regolamenta in modo più rigido il rapporto tra pubblico e privato. Per questo motivo ancora oggi viene spesso chiamata in causa nei dibattiti per la sua notevole expertise, visto a seguito degli sconquassi del Covid-19 gli addetti ai lavori si chiedono opportunamente quale direzione prendere per il welfare del futuro.

Tra temi etici e polemiche 

Nel 2006, con il nuovo successo elettorale di Romano Prodi, è tornata al Governo come Ministro per le politiche per la famiglia. In questa nuova veste ha avuto degli scontri sia con la Chiesa, per aver sostenuto i DICO (una norma sulla convivenza delle persone anche dello stesso esso), sia con le associazioni LGBT+, per via di posizioni ben sintetizzate da esternazioni come “è meglio che un bambino stia in Africa con la sua tribù, piuttosto che cresca con due uomini o due donne”. Se trovarsi tra l’incudine e il martello non è mai piacevole per un politico, nel suo caso ha prevalso una narrazione positiva, che ha attribuito queste critiche bipartisan a un’indipendenza di giudizio che non sempre è un fattore scontato, specialmente ai piani alti delle istituzioni.

Un destino legato a Romano Prodi

Presidente della Commissione Antimafia e Vicepresidente della Camera dei Deputati, è stata anche Presidente del Partito Democratico, del quale è stata una dei fondatori. Il suo incarico è durato dal 2009 al 2013, data decisamente non casuale, specialmente parlando di elezioni per il Quirinale: quando sfumò la possibilità che Prodi, al quale è sempre legata molto legata, diventasse Presidente della Repubblica per il famigerato “tradimento” dei 101, Bindi rassegnò le dimissioni dalla guida dei Dem.

Dal Parlamento all’Università

Il suo distacco dalla politica è culminato con la decisione di non ricandidarsi alle politiche del 2018, interrompendo così 24 anni di militanza ininterrotta come parlamentare. Oggi il suo impegno è rivolto specialmente al suo ruolo di docente presso la Pontificia Università Antonianum, dove tiene corsi sulla legalità e il contrasto alle mafie. Qualche mese fa ha inoltre dichiarato di non aver rinnovato la tessera del Pd. Nemmeno oggi che tra i Dem il suo nome ricorre spesso come candidata al Quirinale pare aver cambiato idea. Nella già citata intervista all’Espresso, ha espresso critiche molto forti a un partito che “è un patto di potere e deve andare oltre se stesso”, rifilando anche una stoccata al ministro Franceschini: “E’ come quella pubblicità: dove c’è maggioranza c’è Dario”. Un’ulteriore dimostrazione di quell’indipendenza di giudizio che le riconoscono anche gli avversari, nonché della determinazione che non viene meno neanche in un quadro che rende decisamente poco prevedibile l’esito della corsa al Colle. Al punto che, sulle sue possibilità di vittoria, commenta con un brillante spirito: “Sto già scrivendo il discorso… come Casini”.
 

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    corsa al colleelezione presidente della repubblicaquirinalerosy bindisilvio berlusconi





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