Economia
“In Italia il cuneo fiscale reale è al 60%: così è insostenibile"

Il presidente Roberto Capobianco in esclusiva ad Affaritaliani.it: “La no tax area deve essere innalzata sopra i 16mila euro”
Capobianco: "In Italia il cuneo fiscale è al 60%"
“L’Ocse asserisce che la tassazione sul reddito da lavoro dipendente è al 46,5%, ma un consulente del lavoro preparato e onesto intellettualmente come Enzo De Fusco ha reso una fotografia ancora più drammatica: a fronte di 300 miliardi di stipendi che le nostre imprese pagano, fra tasse, Irpef e contributi ne volano via 180, cioè il 60%”. Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi, racconta ad Affaritaliani.it come il salario minimo europeo non possa essere la panacea di tutti i mali e, soprattutto, non possa diventare la foglia di fico dietro a cui nascondere i problemi, strutturali del fisco nel nostro Paese.
Capobianco, c’è chi dice che il reddito di cittadinanza sia già un salario minimo garantito. Lei che cosa ribatte?
È una sciocchezza. Con il salario minimo si garantisce uno stipendio decoroso ai lavoratori. Sono quattro anni che se ne parla, con la ministra Nunzia Catalfo che aveva avanzato una proposta per la creazione di un salario sotto il quale i contratti collettivi non potevano scendere, cioè nove euro l’ora. Ma già lì ci siamo incartati perché non era chiaro se dovessero essere netti o lordi.
Ora però ce lo chiede l’Europa…
Ma non è così. Il Vecchio Continente ci sta suggerendo di intervenire, ma non ci sta imponendo nulla e soprattutto non ci chiede di definire un tetto minimo e massimo. Equiparare i salari in base al territorio, al costo della vita, alle modalità: questo è un provvedimento civile che deve essere sviluppato quanto prima. Non si deve aumentare il costo del lavoro per le aziende, ma la redditività che oggi è bassissima. E se a questo aggiungiamo un cuneo fiscale tra i più alti d’Europa abbiamo la combinazione perfetta.
L’Ocse ci attribuisce un cuneo al 46,5%. Come lo si riduce?
Un consulente del lavoro come Enzo De Fusco, preparato e indipendente, fa dei conti diversi: a fronte di 300 miliardi di stipendi che le nostre imprese pagano, tra tasse, Irpef e contributi vari, circa 180 miliardi vanno in fumo. Il che porta il cuneo al 60%.
Ma se riduciamo la tassazione, chi paga? Abbiamo fatto montagne di debito per colpa del Covid, del caro-energia, dell’inflazione in genere…
Il vero problema è che la politica non ha mai voluto portare all’attenzione il vero tema, cioè quello di contribuire allo sviluppo del sistema delle imprese. I soldi si trovano diminuendo le uscite improduttive e incentivando le imprese che, diventando più competitive, aumentano il gettito discale. Un contributo di 200 euro una tantum costa un sacco di soldi e non porta nessun impatto positivo. Servono interventi strutturali, è necessario aumentare il netto nella busta paga dei dipendenti. Urge detassare l’adeguamento dei contratti. Una proposta facilmente realizzabile è quella di detassare gli incrementi retributivi per permettere alle aziende che hanno una qualche marginalità di far salire gli stipendi senza svenarsi.
Quale sarebbe un livello di retribuzione giusto?
Prendiamo un impiegato o un commesso: siamo intono ai 1.700 euro lordi al mese, cioè circa 11 euro l’ora. Ecco, quello potrebbe essere un punto di partenza, sapendo che aumentare le retribuzioni significa creare un circolo virtuoso per cui si parte dal basso per arrivare ai livelli superiori. Purché, però, questi incrementi non vengano portati avanti a spese delle aziende. E non è pensabile che un dipendente che la no-tax area non sia almeno sopra quota 16mila euro.
Continuiamo a parlare di lavoro dipendente, ma c’è un esercito di partite iva, ditte individuali, pmi che non hanno nemmeno il sollievo delle tutele. Per loro che cosa si può fare?
Bisogna abbattere tre pilastri dell’inefficienza: costo del lavoro, burocrazia, tassazione. Finché non riusciremo a fare un ragionamento con delle misure strutturali per risolvere questi problemi, finché non aiuteremo professionisti e imprese a lavorare correttamente non andremo da nessuna parte.
Però diciamoci la verità: abbiamo un’evasione fiscale indecente. Quella come si argina?
Non deve andare di moda non pagare le tasse o assumere in nero. È necessario migliorare il sistema delle ispezioni. Però è fondamentale che passi un meccanismo di premialità: chi rispetta le regole deve essere incentivato, chi fa il furbo deve essere bastonato.
In conclusione: perché la politica non ha mai trovato il modo di ridurre il costo del lavoro?
Perché non è visto come un tema strategico. Questo governo avrebbe i numeri per farlo, ma ha preferito ricorrere al sistema delle prebende come i 200 euro. Ora inizia la campagna elettorale, e quindi la palla verrà lanciata un po’ più in là, al 2023. Per quanto?