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Esteri
Fidel Castro uscirà vincitore dalla storia

 

No vamos a ser eternos gobernantes, promise Fidel Castro nel 1961, parlando come sempre di sé al plurale. Era convinto di incarnare pueblo, revolución, nación, e che chi dissentiva fosse antipueblo, contrarrevolución, antinación. Invece ha governato in eterno. E verrà sepolto affianco a José Martí, padre della patria che chissà se sarebbe contento di averlo vicino. Verrà il giorno in cui qualcuno vorrà sloggiarlo da lì. In vita sua, Castro ha parlato tanto, ha detto tutto e il suo contrario. Disse che Cuba avrebbe avuto un tenore di vita superiore a quello degli Stati Uniti, ma non s’è mai liberata dalla libreta, la tessera del razionamento; profetizzò una rivoluzione sociale a Washington e il trionfo del socialismo sovietico: s’è visto com’è andata; disse che la sua era “l’isola delle libertà”, ma creò uno Stato di polizia che i cubani hanno minacciato di svuotare ogni volta che s’è aperto uno spiraglio di fuga. Giurò perfino che Cuba avrebbe creato migliori formaggi dei francesi, ma di quel sogno rimane appena il monumento a una celebre vacca nell’isola della gioventù.

Eppure Fidel uscirà vincitore dalla storia: ha sotterrato Kennedy e Kruschev, Reagan e Gorbacev; morirà nel suo letto. Per molti, rimane un’icona. Non certo perché il suo socialismo funzioni: a ciò credono solo i devoti, più numerosi tra coloro che vivono lontani dalle sue meraviglie che tra quanti le patiscono ogni giorno. No, il mito è presto detto: Fidel ha tenuto testa all’Impero, tanto basta! Poco importa che abbia violato diritti umani, soppresso libertà, prodotto una società basata sul si salvi chi può, tenuto a balia una burocrazia di partito privilegiata, condotto costose guerre più utili al suo ego che ai suoi cittadini, partorito un sistema inefficiente e corrotto. Poco importa se chiese a Mosca di scatenare la guerra nucleare nell’ottobre 1962 e se lungi dall’aver raggiunto la vantata indipendenza nazionale, lascia un paese più che mai dipendente: rimesse degli emigrati e dollari dei turisti sono le voci più importanti del bilancio cubano e nell’isola un profondo baratro divide chi ha amici nel partito e chi no, chi ha familiari all’estero a mandare dollari e chi non ha santi a cavargli le castagne dal fuoco. Ne valeva la pena?

Castro è stato un grande personaggio storico: prepotente ma seducente, dogmatico ma brillante, violento ma colto, cinico ma affabile. Non ha mai fatto vita normale: una famiglia, un lavoro. Il suo mestiere è stato comandare. Guadagnava poco, ma viveva benone: tutto ciò che l’isola offre era a sua disposizione; Cuba è stato il suo regno. Gli affetti, le amicizie, la lealtà, la sincerità: tutto fu per lui sacrificabile alla missione storica che riteneva di dover compiere. Ne era così conscio che Cuba gli è sempre stata stretta. Le radici del suo successo sono assai più remote e profonde della parabola marxista – leninista cui aderì. Così come lo sono quelle del suo viscerale legame coi cubani, seppur logorato dal tempo, dai fallimenti e dalla comparsa di generazioni nauseate dal mito del vecchio Messia. Tant’è vero che il mondo comunista è defunto, ma Castro è rimasto in sella. Il fatto è che Fidel è stato il più brillante interprete della visione del mondo tipica della cristianità ispanica, il più bravo a tradurla alle esigenze dei tempi moderni; una visione assorbita in famiglia e nelle scuole gesuitiche ben prima di sfogliare i sacri testi del marxismo. Fu tale visione antica e potente a fargli immaginare Cuba come una riduzione gesuitica autarchica e spartana, basata sull’unanimità politica e spirituale, sul trionfo di spirito e morale, sui peccati dell’egoismo e della materia; a fargli postulare il dominio della comunità sull’individuo, al punto da sacrificare i diritti individuali al bene della collettività: come Castro l’intendeva e cui i cubani erano chiamati ad aderire per alzata di mano.

Non a caso il suo ex amico Franqui lo riteneva il prodotto tipico del moralismo autoritario delle campagne galiziane di cui era figlio; e non c’è da stupirsi che la Chiesa celebrasse nel 1959 la sua rivoluzione vedendovi l’avvento di un nuovo ordine cristiano, salvo scoprire che lui sarebbe stato il nuovo Dio e il suo regime la nuova religione. È lo stesso motivo per cui papa Bergoglio sente così affine l’ordine antiliberale fondato da Castro su quell’isola cattolica. C’è da stupirsi che una figura simile avesse tale successo a Cuba, dove più strideva il contrasto tra tale civiltà e il liberalismo di cui gli Stati Uniti erano vetrina? Tale e tanta era la penetrazione di economia e cultura statunitensi a Cuba da non sorprendere che contro la centralità che essi davano a mercato e individuo sorgesse sull’isola una così viscerale reazione; una reazione che in quell’antica e radicata visione del mondo ebbe fondamento identitario granitico; la vera matrice del totalitarismo castrista.  

Se così è, allora la punizione imposta dagli Stati Uniti a Cuba attraverso mille vessazioni è stato il più potente carburante della legittimità di Castro; il sostituto ideale della legittimità che non traeva dai risultati del suo socialismo oppressivo e inefficiente. Fidel lo sapeva e perciò agitò sempre il drappo rosso dinanzi al toro yankee, ben sapendo che quello avrebbe attaccato dandogli la preziosa opportunità di atteggiarsi a Davide contro Golia e di richiamare la sua gente all’union sacrée. L’isolamento è condizione ideale e necessaria per preservare l’ordine unanimista caro a Castro. Da ciò l’ossessione perché i cubani non si contagino col mondo esterno. Ma proprio perché così è, l’apertura cui Cuba va incontro, ora con le riforme di mercato che il regime cerca di introdurre per rimanere a galla, ora con la svolta nelle relazioni con Washington, ora con la più o meno imminente morte dell’ultimo Re tomista, la proietterà nel mondo dalla cui corruzione Castro aveva preteso di redimerla. Cuba potrà finalmente diventare adulta e i cubani costruirsi il destino da sè, una buona volta liberi dal Padre e dal Padrone. Poiché però nessuno li ha preparati a farlo, l’apprendistato non sarà facile. 

Loris Zanatta, professore di Storia dell'America Latina presso l'Università di Bologna

fonte: http://www.ispionline.it

Tags:
fidel castro cuba





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