Da Mani Pulite alla riforma dell'appello: le strane idee di Davigo. Analisi - Affaritaliani.it

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Da Mani Pulite alla riforma dell'appello: le strane idee di Davigo. Analisi

"Davigo e gli italiani hanno una mentalità diversa"

di Gianni Pardo

Il Corriere pubblica un’intervista a Piercamillo Davigo che permette qualche osservazione puntuale. Interrogato riguardo all’operazione “Mani Pulite” Davigo risponde: “Con i colleghi stracciammo il velo dell’ipocrisia”. Sappiamo che cos’è l’ipocrisia. La domanda però è: chi mentiva, in questo caso? Da come il Consigliere si esprime è facile dedurre che intendesse attribuire quel riprovevole atteggiamento agli imprenditori, ai politici, ai giornalisti e persino all’opinione pubblica. Ma in questa lista Davigo ha dimenticato di includere i magistrati del tempo. È vero, con quella corruzione si finanziavano tutti i partiti, e la cosa era risaputa. Sicuramente ci saranno anche state delle denunce (presentate dagli scontenti) che i magistrati avranno regolarmente cestinato. E comunque, anche se non le avessero ricevute, avrebbero dovuto lo stesso attivarsi, dal momento che si trattava di reati perseguibili d’ufficio. Dunque non hanno stracciato nessun velo. Prima hanno deciso di partecipare all’ipocrisia, poi hanno deciso di reagire, arrestando tutti.

E c’è di più. Quella che Davigo chiama corruzione era un sistema di finanziamento dei partiti. Il senatore Citaristi, pluricondannato perché tesoriere della Dc, era universamente considerato uno specchiato galantuomo, che non aveva approfittato di una lira.  A quel sistema si è messo rimedio con Mani Pulite e il risultato è stato che prima i partiti erano finanziati da tangenti sui lavori pubblici, poi, col finanziamento pubblico dei partiti, hanno pagato indistintamente tutti i contribuenti. E quando i radicali hanno promosso un referendum per far cessare il finanziamento pubblico (e gli italiani hanno votato in massa per abolirlo) il Parlamento gli ha cambiato nome. Ora si chiama rimborso elettorale. Dunque, a conti fatti, si è reso legale un sistema illegale, ma sempre a carico dei contribuenti. E dunque non è neppure vero ciò che dice Davigo: “E questo ha peggiorato le cose”. Infatti, rendendole legali, le ha rese irreprensibili.

Il Presidente dell’Anm dice ancora: “Noi magistrati siamo come i cornuti: siamo gli ultimi a sapere le cose; perché quando le sappiamo partono i processi”. Ciò non è stato vero, almeno per quanto riguarda Mani Pulite. Quel sistema era noto da decenni, persino a chi scrive, estraneo al mondo degli appalti pubblici.

Aldo Cazzullo gli chiede poi se veramente abbia detto: “Non esistono innocenti; esistono solo colpevoli non ancora scopertie l’interrogato l’ammette, precisando che la citazione è artatamente riportata fuori contesto, “per farmi passare per matto”. Infatti giustamente afferma che “chiunque avesse avuto un ruolo in quel sistema criminale, non poteva essere innocente; uno onesto nel sistema non ce lo tenevano”. Il denaro infatti era diviso fra tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione. E qui è avvenuto qualcosa di stupefacente: Davigo dichiara colpevoli i concussi, cioè i cittadini che o sottostavano a quel sistema,  o non lavoravano, e non si occupa né dei colpevoli della concussione, né dei magistrati che non li perseguivano.

Andando oltre, dal punto di vista sociale, va detto che i partiti sentivano che in qualche modo dovevano pure finanziarsi, cosa che rendeva legittima la concussione: e la storia, come abbiamo visto, gli ha persino dato ragione. Se il sistema continua ancora oggi, era sbagliata la legge. Rimproverare i cittadini che cercavano di sopravvivere in quel sistema è assurdo come rimproverare coloro che, durante l’oppressione nazista, nascondevano degli ebrei.  Anche questo era contro la legge: ma era una legge giusta?

Cosa stupefacente è poi che Davigo affermi che “la destra abolì il falso in bilancio”. La cosa semplicemente non è vera. Il reato fu riformulato e qualche pena fu resa meno pesante, nei casi meno gravi. Ma stavolta la leggenda sembra prevalere perfino sull’indubbia competenza del magistrato. Il quale poi suggerisce di adottare l’odiosa pratica degli agenti provocatori: carabinieri che si spacciano per corruttori, offrendo denaro ai politici, in modo da arrestare quelli che l’accettano. Meglio non commentare.

In Italia – sostiene ancora l’intervistato - ci sono troppi processi anche perché troppi ricorrono in appello e la soluzione c’è: “in Francia si può emettere in appello una condanna più severa rispetto al primo grado. Facciamo così anche in Italia, e vedrà come si decongestionano le corti d’appello”. Va osservato che il divieto della reformatio in peius corrisponde ad un alto livello di civiltà giuridica. Se il primo giudice ha assolto l’accusato (o inflitto una certa pena), come può il giudice di secondo grado condannare (o infliggere una pena più grave), essendo certo al di là di ogni ragionevole dubbio della propria opinione, se proprio quel dubbio l’ha avuto il suo collega di primo grado?

Ma c’è di più e di peggio: in Italia il divieto della reformatio in peius non esiste: se la Procura interpone appello, si può infliggere una pena maggiore. Forse Davigo vorrebbe che questa possibilità fosse concessa anche se l’accusa non ha interposto appello? Si vorrebbe dunque perseguitare un malcapitato al di là di ciò che chiedeva l’accusa? Il minimo che se possa dedurre dall’intervista è che questo magistrato e molti italiani hanno una mentalità diversa.

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